Profondo rosso di Dario Argento è un film con una struttura particolare: già dalle prime scene uno spettatore attento riesce a notare un serial killer.

Profondo rosso è uno di quei film che, ahimè, si vede solo una volta. La causa è nel fatto che non si tratta solo di un horror, ma anche di un giallo: la trama parte dalla dimostrazione di una medium, che percepisce una presenza malvagia nella platea del teatro in cui sta tenendo un convegno. Poco dopo, un pianista jazz, Marc, assiste al suo assassinio. Ma nell’entrare in casa della medium vede l’assassino, anche se non lo sa. Il tutto si evolve in modo al tempo stesso agghiacciante e grottesco: Dario Argento ci presenta una carrellata di personaggi, di uomini e donne che hanno a loro modo a che fare con l’assassino – che naturalmente non vuole essere scoperto – e che finiscono quasi sempre, inevitabilmente, uccisi.

Nel cast di Profondo rosso figurano David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia, Macha Meril, Eros Pagni, Giuliana Calandra, Clara Calamai e Nicoletta Elmi – che gran parte della mia generazione conosce per essere stata nel cast di vari film splatter italiani e la serie I ragazzi della 3a C.

Un ruolo a parte è stato assegnato alla colonna sonora dei Goblin in Profondo rosso. Sì, ok, mi è abbastanza chiaro che stiamo parlando di una cosa e non di una persona, ma la musica di questo film è così tanto evocativa da andare a costituire quasi un personaggio, la cui presenza contribuisce a dare una connotazione particolare agli eventi che si susseguono.

Il film è ricchissimo di dettagli meravigliosi. Su tutti spicca il colore rosso che si sussegue in diversi particolari di differenti scene (a partire dalle scarpe di Marc, ma anche delle tende e del sangue, tanto da lasciarmi pensare forse che l’immaginario di David Lynch si possa anche essere formato su Argento). Ci sono poi le scenografie, quegli esterni a Torino che sono semplicemente magici e quasi onirici, oltre al bar citazione di Nighthawks di Edward Hopper (un’altra indubitabile somiglianza con il cinema di Lynch).

C’è poi il particolare della mano guantata. La mano dell’assassino deve indossare un guanto, perché uno dei nodi fondamentali di questo giallo è appunto il genere dell’assassino. Se Argento avesse fatto vedere la mano che apriva il rubinetto, nella seconda scena del film, avrebbe tolto ogni dubbio allo spettatore – con l’eccezione, come detto, di quelli davvero molto svegli che l’hanno in effetti individuato poco dopo. Così, nella scena della toilette appare una mano infilata in un guanto, che però non è dell’attore che interpreta l’assassino, bensì dello stesso Dario Argento, che ha utilizzato questo escamotage anche in altre sue pellicole.

(Eh sì, lo so che la foto in evidenza non è quella statua là).

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