Sono una grande fan di Christian De Sica e chi lo riduce solo a una critica dei cinepanettoni non sa di cosa parla.  

Ha all’attivo quasi ottanta film e oggi compie settanta anni. È Christian De Sica, figlio del grande Vittorio e imparentato per matrimonio a un’altra grande famiglia del cinema italiano: i Verdone. Parlare del cinema di De Sica significa anche coinvolgere i Verdone, uno in particolare: Carlo, che ha diretto il cognato e amico di sempre in diverse pellicole indimenticabili, in cui De Sica interpreta dei piccoli personaggi mostrando un incredibile versatilità, da Compagni di scuola a Borotalco.

Uno dei grandi problemi con chi è superficiale verso Christian De Sica è che si tende a liquidarlo come un interprete di cinepanettoni. Sicuramente, le collaborazioni con i fratelli Vanzina o Enrico Oldoini hanno portato a identificare De Sica come l’esponente di un certo cinema, ma al tempo stesso non si può mettere tutto in un calderone. Qualunque cinepanettone non può essere paragonato lontanamente al primo Vacanze di Natale o alla poesia di quel gran film che è Sapore di mare. In entrambi, De Sica interpretava il fidanzato, tradito o “traditore” (che poi si rivelava bisessuale), di Karina Huff: quand’ero bambina li guardavo incantata davanti allo schermo e, anche se il film l’avevo visto svariate volte, ogni finale era un’emozione.

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Nel giorno del suo settantesimo compleanno, il canale Cine34 del digitale terrestre dedica a Christian De Sica una grande maratona con quattro film del suo repertorio: Borotalco alle 19, Ricky & Barabba alle 21, Bellifreschi alle 23 e Vacanze in America all’1 di notte. Ognuna di queste pellicole ha qualcosa di molto speciale soprattutto in virtù del personaggio interpretato da De Sica, che passa da una rivisitazione en travesti à la A qualcuno piace caldo, all’incredibile personaggio di Don Buro, prete ciociaro di campagna che sfido chiunque a non aver amato nella propria vita.

Guardare il cinema di Christian De Sica significa farlo con mente aperta, guardando l’attore oltre una sceneggiatura, vedendo l’artista dietro il tormentone. Che poi, diciamocelo, quei tormentoni appartengono a ognuno di noi e fingere di vergognarsi per averli ripetuti allo sfinimento è solo ipocrisia.

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