Verso la fine del 2020 è stato distribuito Il rito delle streghe, ovvero The Craft: Legacy, sequel di Giovani streghe. (Non proseguite con la lettura se non avete visto il film, perché contiene spoiler).
Era da tempo che aspettavo di vedere Il rito delle streghe. Sono sempre stata molto affezionata a Giovani streghe, anche se per certi versi è un film ingenuo, della seconda metà degli anni ’90, che ha un po’ seguito il solito format del dramma adolescenziale. Giovani streghe aveva qualcosa di davvero potente però. La colonna sonora sicuramente (con How Soon Is Now? degli Smiths, i Siouxie and the Banshees e i Portishead che proprio in quegli anni si affacciavano sul panorama musicale internazionale). Poi c’era il cast, in cui figuravano Neve Campbell (la cito per prima perché interpretava il personaggio in cui mi sono sempre rivista maggiormente, nel bene e nel male, e perché ha rappresentato la vera anima degli anni ’90) e Fairuza Balk.
Giovani streghe è stato ed è, in altre parole, uno stracult per me e le mie coetanee. Quindi potete immaginare che aspettative avessi per Il rito delle streghe, che ho atteso con trepidazione e paura. Mentre lo guardavo, qualche pomeriggio fa, il mio compagno – che è un fan di David Duchovny, ma in fondo chi non lo è? – mi ha guardata di striscio e mi ha detto: «Secondo me lui è il fetentone. Perché quando chiamano un attore così famoso in un film teen e con una carriera del genere alle spalle mica gli possono dare un ruolo di contorno». Sì, sostanzialmente il cast de Il rito delle streghe non è davvero male, con Duchovny e naturalmente il ritorno, anche se solo per una scena, di Fairuza Balk.
Un po’ di storia e un po’ di cronaca. Giovani streghe parlava di una giovane strega naturale, Sarah, che si trasferiva a Los Angeles con il padre vedovo e la nuova compagna. L’arrivo in una nuova scuola cattolica non era facile: veniva puntata da Chris (Skeet Ulrich), che, dopo un appuntamento in bianco, diffonde su di lei una marea di bugie. Sarah trova sponda in tre ragazze che aveva precedentemente respinto: Nancy (Fairuza Balk), Bonnie (Neve Campbell) e Rochelle, che si dichiarano streghe e le dicono che lei è il quarto elemento che cercavano. Le quattro ragazze iniziano a fare magie, finendo ben presto per abusare dei loro poteri e fare del male a diverse persone: tutte contro Sarah, c’è uno scontro finale, ma Sarah da sola è troppo potente, per cui spoglia Bonnie e Rochelle dei suoi poteri, mentre Nancy finisce in un manicomio.
Il rito delle streghe inizia in maniera simile. Lily si trasferisce in una nuova città insieme alla madre e al nuovo compagno (David Duchovny), che ha tre figli maschi e conduce quei corsi sul machismo tossico che sanno tanto di «Rispettate il ca*zo, domate la fi*a» per usare un’espressione contenuta in Magnolia di P.T. Anderson. Va da sé che Lily, anche lei una strega naturale, che si unisce con tre amiche streghe, non può certo andare d’accordo con un simile individuo. E infatti ben presto ci sono degli scontri tra figlio e patrigna, mentre le quattro ragazze riescono a modificare una situazione di bullismo a scuola, portandola a loro favore. Ma una sera, il ragazzo di cui Lily, dopo un incantesimo, si è innamorata, muore dopo averle confidato di aver avuto un rapporto sessuale con il fratellastro di lei. Lily e le altre iniziano a temere di aver abusato dei propri poteri, ma in realtà è stato il patrigno a ucciderlo, in modo da dividere le ragazze e prendere il potere di Lily, il cui vero nome è in realtà Lilith ed è la figlia che Nancy ha dato in adozione alla psicologa che l’aveva in cura. Dopo che Lily sconfigge lo stregone, va in manicomio a incontrare finalmente la sua vera madre.
Tra i due film c’è una distanza anagrafica di quasi 14 anni, che si riflette nell’impostazione culturale della pellicola. L’incantesimo che Sarah fa a Chris non è l’incantesimo che Lily fa al ragazzo che le piace: Lily e le altre fanno solo emergere il lato sensibile del loro compagno di scuola, non lo rendono un malvagio e ossessivo stupratore. La composizione delle streghe del primo film non è quella del secondo film, con l’eccezione della «nera di rappresentanza», il segno tangibile dell’ipocrisia razzista nel cinema americano: mentre le protagoniste di Giovani streghe sono tutte bellissime in maniera convenzionale, le protagoniste de Il rito delle streghe sfidano le convenzioni (anche se, be’, l’attrice afroamericana ha una grossa somiglianza con Lauryn Hill da giovane) e rappresentano ragazze differenti in un range più inclusivo. E anche la trama è differente, perché il sequel è incentrato sul girl power, sull’unione più che sulla separazione e sul cliché dell’invidia femminile.
Tutto questo mi ha fatto pensare al modo in cui remake, reboot e sequel di vecchi cult degli anni ’80 e ’90 stanno venendo realizzati in questi anni. Il rito delle streghe, seppur non un film considerevole, risulta comunque interessante e credo faccia da apripista a un filone che vede protagonisti di nuove storie i figli dei personaggi. Oddio, non proprio da apripista, dato che proprio Jay & Silent Bob reboot apriva alla genitorialità dentro e fuori lo schermo (Harley Quinn Smith, figlia del regista Kevin Smith, interpreta la figlia del personaggio di Jay, mentre la figlia dell’interprete di questi, Jason Mews è pure presente con un minuscolo ruolo). Però Il rito delle streghe è sicuramente meno di nicchia, più mainstream.
Sicuramente Il rito delle streghe ha alzato le mie aspettative – comunque notevoli – anche nei confronti di Ghostbusters: Legacy, che se tutto va bene dovrà essere distribuito la prossima estate. Anche questa sarà una storia tra genitori e figli, che in questo caso va a sopperire a un’assenza, quella di Harold Ramis, scomparso nel 2014, che interpretava Egon. Sarà un film da vedere: pensate che questa tendenza sia ripetitiva e ci stancherà? È probabile che accade, ma non ora, non ora che con la pandemia abbiamo fame di buon cinema più che mai.