Dopo Lock & Stock e Snatch, i suoi primi due film, Guy Ritchie torna agli esordi: The Gentlemen è una storia che si divide tra i gangster della realtà inglese e battute o momenti quasi nonsense.
di Paolo Merenda
Piccola precisazione: vi avverto io quando cominceranno gli spoiler. Perfetto, buona lettura. Ho molto gradito The Gentlemen di Guy Ritchie, che in verità non ho seguito negli anni, come per altri registi. Credo addirittura che mi manchi quasi tutto il periodo 2002-2019 (da Travolti dal destino ad Aladdin), perché avevo apprezzato le due opere prime, Lock & Stock – Pazzi scatenati e Snatch – Lo strappo, e gli altri mi sembravano di genere leggermente diverso. Sono quindi tornato sui miei passi per The Gentlemen, e ho trovato qualcosa di simile ma al contempo profondamente diverso.
I film sulla malavita esulano da una regola fondamentale del cinema (o meglio, non lo fanno del tutto, ma su questo magari ci tornerò in futuro): non c’è un buono e un cattivo in lotta, ma l’epopea di un cattivo contro gli altri. E la trama ti porta a patteggiare per il cattivo, nonostante compia appunto gesti esecrabili. Basti pensare a una pellicola come Quei bravi ragazzi, in cui Henry Hill (Ray Liotta) viene seguito lungo la sua parabola nella criminalità e solo da un certo punto diventa il bersaglio dei pesci ancora più grossi di lui.
The Gentlemen, dicevo, fa un passo avanti rispetto ai primi due lavori del regista inglese. Intanto, saggia la scelta di parlare del re della cannabis, non della cocaina o di altre droghe più pesanti (il mercato di queste droghe viene, difatti, messo in mano a cinesi senza scrupoli nel corso della pellicola). E dico “re” non a caso, perché il film si apre su una frase che descrive il protagonista.
«Per essere il re della giungla, non basta comportarsi da re. Devi essere il re. E non devono esserci dubbi. Perché i dubbi creano caos e ti portano alla rovina.»
A dirlo è Mickey Pearson, il re della cannabis, interpretato dall’attore premio Oscar Matthew McConaughey. I suoi guai iniziano quando decide di tirarsi fuori dal gioco per godersi una pensione d’oro con la moglie, Rosalind (Michelle Dockery), donna d’affari presentata come la regina della giungla. È lei a consigliarlo sui passi da fare, dato che potrebbe essere visto come debole nel lasciare l’impero. Non a caso, la storia comincia in medias res, e l’omicidio di Pearson in una birreria.
Subito dopo, ci si sposta in un punto imprecisato della storia, a quando Fletcher (un Hugh Grant in grande spolvero) va a casa del braccio destro di Pearson, Raymond Smith (Charlie Hunnam) e gli dice che ha seguito e fotografato le loro gesta, fissando il prezzo del suo silenzio a 20 milioni di sterline. Alcuni episodi vengono quindi descritti, tra fughe non prive di momenti comedy e testimoni che incontrano una morte che strappa una risata.
Ok, da qui qualche spoiler. Se non avete visto il film fermatevi, guardatelo e poi tornate qui, se vi va.
Capiamo che non era di Pearson il sangue nella birreria, e che nel momento in cui ha deciso di vendere (per 400 milioni) l’impero a un concorrente, Matthew Berger, interpretato da Jeremy Strong, questi si è messo in affari con il cinese Dry Eye (Henry Golding, davvero ben calato nel personaggio), che a sua volta ha tradito il suo mentore per concludere l’affare e avere il monopolio, oltre alla cocaina, anche della cannabis.
Pearson, nel fare un favore a un amico, si metterà contro i russi, e sono proprio loro ad andare a caccia del re della giungla, non per l’impero ma per vendetta. Ma la guardia del corpo del re, Raymond Smith, sa sempre come trovarsi nel posto giusto grazie anche all’aiuto insperato di Coach, che si mette al servizio della causa dopo uno sgarbo involontario.
Come vedete, tranne Coach e gli aiutanti di Mickey Pearson, sono tutti contro di lui, tanto che il cattivo per eccellenza dipinto all’inizio, grazie alla perfidia degli altri diventa “buono” perché vessato perfino da Fletcher, che lo ricatta mentre nello stesso momento lo vende ai russi. A genius, direbbe Renzi in un famoso meme, che come first reaction non può avere che: sciock. Ma l’epopea di Pearson, il sapersi rialzare e prevedere tutte le mosse, lo porta a essere il vero re, l’eroe. Particolarmente importante la scena in cui si incontra con il boss cinese che poi verrà tradito da Dry Eye e, a fine incontro, l’asiatico scopre di aver bevuto un tè avvelenato perché gli uomini di Pearson erano già entrati in cucina a sua insaputa. Il gesto di offrirgli l’antidoto lo rende, a suo modo, possessore di un’etica che agli altri personaggi manca.
Forse la pecca, con un personaggio di questo spessore, un cattivo che diventa buono perché gli altri diventano ancor più cattivi, è che il finale a un certo punto non dà sorprese. Bello però aver lasciato fumose le questioni di Berger, il possibile acquirente la cui trama viene smascherata, e Fletcher, entrambi catturati dagli uomini di Pearson. Andranno incontro alla loro fine, ma chi vede il film non sa quale sia. Perché l’ultima scena è, come la prima, per il re, ma stavolta con la sua regina.