Un cast completo tra volti noti e altri meno, ma il punto forte è la sceneggiatura, per un thriller che ha fatto scuola nel mondo del cinema: ecco I soliti sospetti.

di Paolo Merenda

I soliti sospetti è un film, del 1995, davvero davvero notevole. Ottima la scelta del cast, tra Gabriel Byrne, Kevin Spacey, Stephen Baldwin e un camaleontico Benicio del Toro, che con gli altri si adattano ai ruoli anche in base alle battute stesse. Il principale sospetto, Dean Keaton (Gabriel Byrne), di essere l’efferato criminale Keyser Söze, era al tempo un attore di grido, mentre l’anonimo Verbal Kint è un Kevin Spacey dimesso nell’aspetto, nelle spalle curve e nel modo di camminare. I ruoli “di contorno” sono divisi tra nomi più o meno di spessore, con l’aggiunta di assoluta classe che risponde al nome Benicio del Toro (bravissimo nella parte di colui che non ha paura di Keyser Söze, nonostante le leggende sull’uomo più ricercato dalla polizia).

In verità, la pellicola del regista Bryan Singer (lo stesso de L’allievo, significativo lavoro basato su un racconto di Stephen King) ha un punto debole: la prima visione è wow! per il colpo di scena dei colpi di scena, alla fine. Non lo scrivo qui, nonostante il film abbia 26 anni, in caso siete all’oscuro (in tal caso, dopo aver letto questo articolo senza spoiler correte a vederlo), ma è qualcosa di originalissimo per l’epoca.

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Dicevo, la prima visione è wow! a cui può seguire una seconda visione alla luce della spiegazione finale, ma poi esaurisce la forza. È stato definito uno dei migliori thriller della storia, ha un gradimento su RottenTomatoes dell’89% da parte degli addetti ai lavori, e tutto viene confermato dalla sceneggiatura, che ha fruttato un meritatissimo Oscar al suo autore, Christopher McQuarrie, oltre a un altro premio Oscar al perfetto Kevin Spacey nel ruolo di Kint che è stato un attore brillantissimo (vincerà un secondo Oscar nel 2000, per American Beauty).

Premi e apprezzamenti giunti da tutto il mondo del cinema, quindi, ma c’è dell’altro. Il punto è che lo spettatore non sa mai cosa accadrà: il confronto all’americana che dà il via al gruppo, successivamente contattato da Keyser Söze con cui ognuno di loro ha dei conti in sospeso, e i colpi messi a segno, cambiano di minuto in minuto la direzione in cui va la trama. Per chi guarda, è come stare in automobile con un pilota da corsa che accelera, rallenta, gira, fa derapate, e ti porta al traguardo dopo un viaggio avvincente dall’inizio alla fine. Ed è tutto quello, forse anche di più, che si chiede a un thriller ben fatto.

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