Il biopic diretto da Andrea Adriatico Gli anni amari era un film che attendevo con ansia e quando l’ho visto è stato straziante.
Gli anni amari è un film che non è stato distribuito sotto una buona stella. Si tratta infatti di una di quelle pellicole che ha risentito della chiusura di cinema e teatri durante il primo lockdown per il coronavirus. In altre parole, alcuni fortunati erano riusciti a vederlo alla Festa del Cinema di Roma, ma poi hanno dovuto attendere l’estate per vederlo al cinema o, come me, su piattaforma streaming. Peccato, perché secondo me è un film che dà il suo meglio in una sala cinematografica, avvolti dalla visione e dal suono.
Diretto da Andrea Adriatico, Gli anni amari è il biopic su Mario Mieli, figura unica all’interno della storia Lgbtqai* in Italia, ma sicuramente molto affascinante. Può darsi che alcuni miei conterranei siano stati conquistati dall’identificazione delle location (parte del film è stato infatti girato a Lecce), ma per me è stato qualcos’altro a colpirmi profondamente, sebbene sia stata incuriosita all’inizio dalla presenza, tra le comparse, di una personalità del mondo del cinema a tematica Lgbt. Nel tempo, ho letto molte cose su Mieli, ma ho maturato un’idea: per comprenderlo bisogna sì leggere la sua opera, ma soprattutto farlo alla luce dei tempi in cui ha vissuto, della sua irriverenza, delle sue provocazioni. Altrimenti non si riuscirebbe ad andare oltre al livello letterale, che in Mieli, dotato di enorme cultura e grandissima intelligenza, è davvero ridotto all’osso.
Ne biopic Gli anni amari, possiamo vedere Mario Mieli, interpretato da Nicola Di Benedetto, attraversare degli anni cruciali per l’universo Lgbtqai* in Italia e non solo. Mieli attraversa l’Italia ma si rifugia anche a Londra, dove la situazione è decisamente peggiore per gli omosessuali, costretti per lungo tempo alle cosiddette terapie riparative. Non mancano i personaggi noti che Mieli incontra sulla sua strada, dal cantautore Ivan Cattaneo alla scrittrice Fernanda Pivano fino all’attore Alfredo Cohen.
Nicola Di Benedetto porta sulla scena un Mario Mieli favoloso, che porta avanti le sue idee e non si lascia scoraggiare, tranne, come sappiamo, alla fine della sua vita. Per questa ragione io l’ho trovato un film straziante: a tutta la prima parte colorata e piena di speranza, si contrappone la parte finale della pellicola in cui lo spettatore diventa Mieli, diventa parte del suo percorso e si immedesima nel suo dolore. E se oggi molte cose sono diverse è anche grazie a lui – e non avete idea invece delle cose che sono rimaste tristemente uguali dal punto di vista politico, soprattutto laddove ci si aspetterebbe un minimo di apertura mentale.
È davvero importante che soprattutto le giovani generazioni guardino questo film – ha detto alla Gazzetta del Mezzogiorno Giovanni Minerba, co-fondatore del più longevo festival del cinema a tematica Lgbt d’Europa, Da Sodoma a Hollywood oggi Lovers – Nella pellicola si mostra l’inizio del movimento gay attraverso Mario Mieli che affronta il discorso in una famiglia alto-borghese. Pensiamo ai giovani che oggi affrontano politicamente il coming out. Mieli diede una scossa al movimento, pur restandone indipendente. E anche in questo è stato un modello importante per capire come comportarsi nella vita: si può lottare senza tradire la propria identità e lo si può fare attraverso i canali e i mezzi che ci sono più congeniali.
Credo che tutti dobbiamo guardare Gli anni amari, perché fa capire cosa abbia fatto in passato (e potrebbe fare ancora, e in effetti accade) il pregiudizio, come abbia devastato le persone, anche quelle che sembravano le più forti, le meglio corazzate.