Parlare di Mistandivò per me significa compiere un viaggio nel tempo che non è solo letterario.

Poteva essere il 2002. Non prima, non dopo. Tra i libri per il corso monografico dell’esame di Teoria della Letteratura, in un lungo elenco stilato da un prof decisamente scrupoloso e attento ai suoi studenti, figurava un libro che non avevo mai sentito. Mistandivò. Proprio così. Non sapevo cosa significasse. Non sapevo che ci fossero parole così agglutinate in salentino. Significa «me ne sto andando», cioè «mi-sta-ndi-vò». Che poi in pratica la lingua compie un percorso di quattro passi per battere, mica come per «Lo-li-ta».

La cosa che più mi colpì la prima volta che lessi Mistandivò (sì, la prima volta, perché l’ho letto diverse volte, e l’ho anche regalato a diverse persone, me ne sono sentita quasi in dovere), consisteva nel fatto che tutto mi sembrò fin troppo noto. La ragione è semplice: Mistandivò è una narrazione generazionale, che coinvolge chi, come me, fa parte della Generazione X e si è ritrovata per la prima volta nel dilemma se restare o andare. L’andare ha a che fare, ancora oggi, soprattutto con il Nord Italia – ancora non si parlava di estero, non come invece è diventato comune oggi – terra promessa, lavorativamente parlando, ma anche più croce che delizia. È uno scontro di culture quello che vivono i protagonisti di Mistandivò che sono al nord, in alcuni punti forse anche un po’ idealizzato, ma comunque uno scontro. Non c’è la retorica del binomio bello/brutto o buono/cattivo, ma semplicemente una lotta per un adattamento potenzialmente impossibile.

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Nei quadretti che Mistandivò delinea non ci sono stereotipi ma al tempo stesso i suoi personaggi sembrano dominati da una certa fissità che prelude al cambiamento. Perché la domanda che ci si pone è: qual è il vero cambiamento? Partire? Restare?

Venti anni fa usciva questo libro e io spesso sto qui a chiedermi se è cambiato qualcosa. Mistandivò l’ha scritto Livio Romano e io a oggi ho letto tutti i suoi libri, perché – questa è una cosa che è cambiata – è diventato uno dei miei autori preferiti. Ma non è cambiato molto altro, a parte i libri di Livio, che comunque si è dedicato ad altre storie, anche molto diverse tra loro.

Anche se siamo giunti a un punto in cui partire è diventata la normalità, restare l’eccezione, è abbastanza bizzarro che dopo due decadi stiamo ancora qui a parlarne. Intanto dovremmo aver capito che siamo cittadini del mondo, eppure vedo e sento cose che non mi piacciono per niente. Perché è vero che siamo sempre meridionali di qualcuno, come diceva Luciano De Crescenzo, ma forse ce lo dimentichiamo un po’ troppo spesso. Io sono una che se n’è andata e continua a sentire la mancanza del suo paese. Ma al tempo stesso, mi piacerebbe cambiare il mondo. Anche se a volte mi prende lo sconforto, e capisco che devo lasciare anche che ogni tanto il mondo vada a rotoli, come in fondo scrive lo stesso Romano nel libro precedente a Mistandivò, Porto di mare.

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