Un Al Pacino in grande spolvero è forse il valore aggiunto di un film che, dal 1997 a oggi, è diventato iconico: ecco L’avvocato del diavolo.

di Paolo Merenda

L’avvocato del diavolo è un lavoro diretto dal regista Taylor Hackford, che, basandosi sul romanzo di Andrew Neiderman, è riuscito a sublimare una trama che vede al centro il difficile ruolo di Satana. In effetti sembra una scelta semplice porre il re degli inferi come villain, ma il rischio è la mancanza di spessore che uno come lui dovrebbe avere. Invece i dialoghi, la sceneggiatura e la bravura di Al Pacino hanno reso facili anche le cose più complicate.

Anche il resto del cast aiuta non poco: se Al Pacino è John Milton, capo di uno studio legale in cui va a lavorare il protagonista Keanu Reeves, che interpreta l’avvocato Kevin Lomax, i ruoli femminili sono andati a donne con nomi pesanti, a partire da Charlize Teron, ovvero Mary Ann, la tormentata moglie di Lomax che lo vede affondare tra le spire del male.

L’inizio è significativo: Kevin Lomax riesce a far assolvere i peggiori criminali (e un gran numero di innocenti, naturalmente), tanto che non ha mai perso una causa. John Milton lo nota e lo assume, dandogli ulteriori stimoli, ad esempio facendogli difendere il potente Alex Cullen, accusato di triplice omicidio (moglie, figliastro e una domestica). Ma se da un lato il diavolo dà, dall’altro prende, e quindi la vita coniugale di Lomax va a rotoli perché la moglie si sente in pericolo, oltre che esclusa dalle vicende che riguardano la sua metà affettiva.

Buone le scelte anche nei particolari, come il nome di Al Pacino, oltre a Satana: è John Milton, autore del Paradiso Perduto, che cita anche nel solenne discorso finale, una dichiarazione d’intenti su come la sua vittoria su Dio nel Ventesimo Secolo sia netta. Il contrario di quanto Kevin Smith afferma in Dogma, ma questo è il bello della cinematografia, quando se ne occupano grandi nomi.

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E a proposito di grandi nomi, ogni notevole pellicola che si rispetti ha dei retroscena gustosi: proprio Al Pacino non voleva partecipare alle riprese, trovando l’idea inquinata da troppi effetti speciali. Arrivò a proporre Sean Connery e Robert Redford al suo posto, ma il regista preferì cambiare alcune scene per averlo. Ma nel 1994, tre anni prima di quand’è stato effettivamente realizzato, il film era già in programma, con Joel Schumacher dietro la macchina da presa e Brad Pitt nel ruolo di Keanu Reeves. Brad Pitt che, come tutti i cinefili sanno, con Edward Norton ha recitato nella pietra miliare indipendente Fight Club. Ecco, anche Edward Norton era stato tra i papabili per interpretare il protagonista del film.

Come potete leggere, una girandola di nomi che non ha escluso nessuna punta di diamante, ma alla fine la formula per me è stata quella giusta. Addirittura il miliardario ed ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha prestato una sua residenza per le scene: si tratta della casa di Alex Cullen, il triplice omicida interpretato da Craig T. Nelson.

Quando tutti i pezzi vanno al loro posto, nasce un’opera che raggiunge il punto: quanto può corrompersi un’anima nel suo viaggio, apparentemente puro, per la grandezza? E c’è la possibilità della salvezza, in qualsiasi istante lo si voglia? Due domande non semplici, perché trattano la natura umana, che è fallace ma anche capace di sprazzi di nobiltà d’animo. La risposta data dal libro e dal film è che, se Satana non si può scalfire, i suoi piani sono fallaci perché la forza del bene insita negli uomini riuscirà a venir fuori.

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