Anche se non avete mai letto Il ritratto di Dorian Gray o visto una sua trasposizione cinematografica, conoscete il libro di Oscar Wilde. Ecco cosa ne fa un classico intramontabile.

di Paolo Merenda

Una frase che viene attribuita a Italo Calvino è: «Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». La si può tranquillamente applicare a Il ritratto di Dorian Gray, che ha una storia interessante sia prima che dopo la pubblicazione, avvenuta tra il 1890 e il 1891.

Intanto, piccola domanda per chi non lo ha letto: avete mai sentito, riferito a qualcuno/a che si mantiene giovane nonostante il passare degli anni, che ha un dipinto che invecchia per lui in soffitta? Ebbene, l’immagine è nel libro Il ritratto di Dorian Gray, di Oscar Wilde, anzi ne è il fulcro. Quello e gli aforismi che l’autore fa dire al personaggio di Lord Henry Wotton, amico e vate per Dorian Gray, un giovane sempre più dedito a una vita dissoluta e alla ricerca del piacere puro.

Il viaggio che lo porta a diventare l’ombra di se stesso parte con alcuni illuminanti discorsi fatti con l’amico Henry, che lo presenta a un pittore, Basil Hallward. Questi realizza un pregevole ritratto di Dorian, il quale in pratica vende la sua anima a Satana, esprimendo il desiderio che sia il quadro a invecchiare al suo posto. Così, la spirale verso l’autodistruzione passa anche attraverso l’omicidio (dell’unica persona che sa cosa stia succedendo, Hallward) e il giocare coi sentimenti di Sybil Vane, una giovane attrice che si innamora del protagonista, ma che quest’ultimo spinge al suicidio col suo comportamento irriguardoso.

Un cattivo puro, quindi? No, ed è questo il punto di forza: Dorian Gray è ciò che vuole essere di volta in volta. Anche le scelte sbagliate sono la naturale svolta di vita, è quanto gli serve in quel momento per evolversi sempre di più.

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Un particolare legato alla prima edizione indica come i temi trattati siano parsi sconvenienti per l’epoca, e un po’ come Arancia meccanica di Anthony Burgess la polemica ne ha cambiato il contenuto. In una simil prefazione al romanzo, a firma dello stesso Oscar Wilde, c’è un elenco dei motivi per cui un buon libro è tale a prescindere da quanto sia socialmente accettato il suo contenuto. Ebbene, la lista non era presente nella primissima edizione del 1890, ma le critiche portarono l’autore ad aggiungere una sorta di spiegazione di quanto avrebbero trovato.

Arancia meccanica ebbe un capitolo finale in più con i Drughi ormai adulti e standardizzati, qui la spiegazione è all’inizio, ma le variazioni, viste a decenni di distanza (in questo caso a più di un secolo), ci dicono molto della società che ha visto la nascita dell’opera. Una sorta di macchina del tempo arrivata intatta fino a noi.

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