Un contributo di Gaia Barletta per i 10 anni dell’associazione LeA – Liberamente e Apertamente.
di Gaia Barletta
Che bel bambino
Perché non fai la pipì in piedi?
Guardate chi c’è, lu masculu fimmena
Se mi concentro riesco a ricordare tutte le volte in cui qualcuno mi ha scambiata per maschio, succede più o meno da sempre: ormai ci ho fatto l’abitudine, mi fa anche piuttosto ridere la cosa quando tuttora, molto più vicina ai 40 di quanto possa sembrare, mi chiamano giovanotto o bello mio.
Quando però avevo boh, 12 / 13 anni la cosa non era così divertente, soprattutto perchè c’era un gruppetto di ragazzini -che oggi chiameremmo bulli, allora erano solo cujuni – che non vedeva l’ora che io passassi nelle loro vicinanze, generalmente in piazza Sant’Oronzo, per venirmi incontro, accerchiarmi e gridare «Guardate chi c’è, lu masculu fimmena».
Sia chiaro, non è che io non mi fossi mai interrogata sulla questione, però il ragionamento era più o meno questo: già non so io se sono maschio o femmina, se vi mettete pure voi a chiedermelo, urlando tra l’altro, cosa che non sopporto in generale, che vi devo rispondere? Non lo so? O si, sono femmina, però non come la intendono le persone in generale, quindi forse non sono del tutto femmina e allora sono un po’ maschio?
Queste insieme a tante altre domande sul chi sono/da dove vengo/ ecc ecc le ho tenute da parte per un bel po’, più o meno fino a quando non è accaduta una cosa che ha fatto risalire tutte quelle voci, quelle risate, quel senso di inadeguatezza, di vergogna, di rabbia che provavo quando passavo da piazza Sant’Oronzo.
Si chiamava Andrea, aveva 15 anni, era di Roma, frequentava il liceo Cavour, adorava il colore rosa, indossava indumenti di quel colore, tingeva le unghie.
E siccome a un ragazzo non può piacere il rosa, a meno che non sia gay, alcuni suoi compagni hanno iniziato a prenderlo in giro, dal vivo e sui social, perché se sei gay ti prendono in giro, ovvio. Si sono presi anche la briga di creare un gruppo Facebook appositamente dedicato a insultarlo, che carini. Andrea a un certo punto non ce l’ha fatta più a sopportare tutta quella situazione e si è impiccato nella sua stanza, il 20 novembre 2012. A 15 anni.
Quando hai 15 anni dovresti poter pensare soltanto ad essere chi vuoi, o quanto meno provare a capire chi sei , senza nessun giudizio e condizionamento esterno. Che già ci sono tutte le vocine di dentro da tenere a bada, a 15 come a 30 anni, solo che a 15 risuonano un po’ di più se ti soffermi ad ascoltarle e non hai gli strumenti giusti per affrontarle.
Nel 2012 di anni ne avevo 26, ero in una seconda adolescenza, un po’ più consapevole e sicuramente più libera della prima. La storia di Andrea, il ragazzo dai pantaloni rosa, mi colpì molto , e come me altre persone, con le quali condividevo il safe place serale e tanti drink, ne furono colpite. Nessuna di noi capiva quello che fosse potuto accadere nella testa di Andrea a causa di quelle parole pesanti ed affilate: quelle dette a voce, quelle lette sui social, quelle che già aveva dentro di sé. Avevamo tutte una vaga, vaghissima idea, ma non capivamo, non era possibile.
Dovevamo fare qualcosa, dare un segnale, lanciare un messaggio. Decidemmo di fare un flashmob, il 25 novembre in piazza sant’Oronzo, giornata contro la violenza sulle donne, che per noi avrebbe assunto il significato di giornata contro la violenza e le discriminazioni: abbiamo scritto un testo, fatto un evento su Facebook, lo abbiamo mandato in giro, abbiamo chiesto di indossare qualcosa di rosa e di portare una candela, per Andrea e per tutte le vittime di violenza. In meno di 48 ore abbiamo raggiunto un sacco di persone che hanno mosso il culo DI DOMENICA POMERIGGIO A LECCE e sono venute in piazza a dire qualcosa, anche solo con la loro presenza, con la candela, con qualcosa di rosa.
Da quella prima manifestazione, qualche mese dopo, ad aprile 2013, è nata LeA, che è un’associazione per i diritti lgbtqi+ , ma per chi la conosce, la frequenta , ci ha avuto a che fare, è come se fosse una persona, ma anche tante persone: il gruppo, la famiglia che ti accoglie, ti accompagna, si cresce insieme, si capisce, si affrontano cose, belle e brutte.
«Se non sai chi sei, sei con noi», è stato più o meno questo il senso alla base di tutto.
In piazza Sant’Oronzo LeA ci è andata un sacco di volte: per urlare contro il silenzio sull’omocausto, per far sapere che a Lecce ci sono tanti ghey e hanno pure un sacco di amici, per non far sentire sole le persone trans*, per dire all’Italia di svegliarsi e approvare le unioni civili e chissà quante altre volte che ora non ricordo. Ha anche appeso la bandiera rainbow sul balcone del comune, il 17 maggio, perchè tutty sapessero che oltre allu sule lu mare lu ientu e lu baroccu qui c’è anche l’arcobaleno.
LeA mi ha insegnato che l’amore, che è l’energia più grande, forte e misteriosa che abbiamo, non si distrugge, ma si trasforma. D’altronde lei è nata da un evento tragico, di morte, generato dall’odio, e ha trasformato tutto in bellezza, grazie all’amore e alla cura di tutte le persone che ne hanno fatto parte sin dal primo momento, e continua a farlo tuttora.
Un ‘altra cosa che ho capito grazie a LeA è il significato della parola orgoglio, che ha a che fare con tutto quello che vi ho raccontato ma anche al fatto che non devi per forza stare in una casella e che va bene uscire fuori dai binari, che c’è sempre almeno un’altra persona come te, e se non c’è, ci sarà, ed è ugualmente bello, perchè sei tu: queer, e ora, quando mi trovo a passare in piazza Sant’Oronzo, mi vengono in mente un sacco di quei momenti belli, alzo la testa, sorrido e dentro di me dico: Guardate chi c’è, lu masculu fimmena.
❤️💙
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Un articolo molto bello.
Mi dispiace tantissimo per Andrea, ognuno dovrebbe avere il diritto di amare chi vuole senza essere giudicato.
Non è importante sapere se siamo uomini o donne, conta l’amore che portiamo dentro, come hai detto giustamente tu.
Un caro saluto 👋
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