Abbiamo visto Dark. E siccome ci è piaciuta molto, non solo la terza stagione ma tutta la serie, abbiamo deciso di scrivere due recensioni: una seria (che andrà online prossimamente) e l’altra, molto poco seria, è questa.
Nonostante abbia adorato Dark – e questo non è uno scherzo – non ci riesco proprio a non fare dell’ironia. Dark è una serie interessante, intelligente, colta. Per me ha dei riferimenti archetipici in Twin Peaks, nelle sue «variazioni e relazioni», nel suo aver istillato nello spettatore una domanda fondamentale: è il futuro o è il passato? Per cui, boh, io immagino che le cose siano andate più o meno così.
Dialogo tra gli sceneggiatori di Dark nel 2017.
X: «Mi sono fisto Twin Peaks, ma è proprio tifficilissimo da capire.»
Y: «Perché non scrifiamo una serie ancora più tifficile?»
Z: «Ma più tifficile è impossipile.»
X: «Lascia fare a me. Ci mettiamo un po’ ti qwesto und un po’ ti qwello.»
Morgan:
Diciamo che questa è la recensione più o meno senza spoiler. Anche perché che spoiler posso fare se non ci ho capito niente?
La trama è più o meno questa. Nella cittadina di Twin Peaks Stars Hollow Capeside Sunnydale Winden ci sono dei wormhole. Che poi sono quei cosi trasparenti che uscivano dal plesso solare di Jake Gyllenhaal in Donnie Darko e gli facevano gli occhi a mo’ di app che andava di moda nel 2009. Eh sì, 2009, perché in effetti parliamo di viaggi nel tempo. Naturalmente in Dark si parla di un sacco di teorie scientifiche reali che hanno a che fare con il tempo-spazio: cioè il paradosso del nonno (quello per cui Marty McFly non deve cedere all’incesto), il bootstrap paradox (come le lettere che Ted Mosby scrive a se stesso per non tornare con Robin, Zoey, Karen e così via) e l’esperimento del gatto di Schroedinger (quello sulla t-shirt di Sheldon Cooper), che ci viene spiegato da Weird Al Jankovic in un grazioso documentario in stile Bbc.
Ci basta avere queste nozioni per capire Dark? Non proprio. Mio cugino ha iniziato a farsi uno schema con le parentele e le relazioni di tutti i personaggi. Me l’ha scritto in una mail del 2018. Non lo vedo da allora. È probabile che lo rincontrerò nel 2051.
Comunque ci tenevo a ringraziare Netflix perché stavolta c’era il doppiaggio. Nelle ultime serie rilasciate, la piattaforma ci ha fatto sapere che non era stato realizzato per via dell’epidemia di coronavirus e che Netflix ci teneva alla salute dei doppiatori. Per fortuna stavolta ci hanno tenuto anche alla salute mentale degli spettatori, perché evidentemente non è facile vedere una serie in tedesco con i sottotitoli che però devi stare attento a quello che succede dietro ai sottotitoli. Roba che alla fine uno si scorda pure la grammatica italiana.
Però c’è da dire che finalmente in Dark non ci sono i nazisti. A chi sarà venuto in mente di fare una serie sui viaggi nel tempo in Germania senza i nazisti? Deve essere come minimo un genio. Meno genio quello che ha pensato che Ulrich potesse essere uno sciupafemmine: ma che davero?
Eh sì, insomma, io consiglio Dark? Solo se siete come me, che non mi premuro di dare troppo senso alle cose. Neppure quelle che io stessa scrivo.