Oggi ricorre l’anniversario della morte di John Hughes, che ha raccontato l’adolescenza e la preadolescenza al cinema con tanta poesia.

Chi, almeno una volta nella vita non si è sentito friendzonato come Duckie? Chi non ha desiderato cantare Twist and Shout alla parata come Ferris Bueller (e poi Ted Mosby)? Chi non si è mai innamorata di John Bender? Chi non ha desiderato avere uno zio come Buck Russell? Chi non ha mai voluto essere fico come Kevin McCallister? Ma soprattutto chi non sarebbe partito last minute in vacanza con la famiglia Griswold?

Se non sapete di cosa sto parlando, forse appartenete alla generazione degli zoomer. Ma, niente paura, perché, se continuate a leggere scoprirete qualcosa che vale davvero la pena di vedere e rivedere, ossia i film scritti o diretti dal regista John Hughes.

Hughes è considerato il principale artefice del Brat Pack, un movimento cinematografico che accomunò film, registi e attori di una generazione molto particolare. Il Brat Pack raccontò gli adolescenti degli anni ’80 e lo fece in un modo decisamente speciale. Non a caso prima ho fatto riferimento agli zoomer. Gli adolescenti oggi sanno bene quanto le altre generazioni siano severe nei loro confronti e addossino loro di tutto, a mo’ di capro espiatorio. In passato è accaduto lo stesso alle altre generazioni quando erano nell’età dell’adolescenza. Ma John Hughes e il Brat Pack diedero una voce a questi ragazzi, anche loro capro espiatorio dei “vecchi” che non li comprendevano, per cui erano dei bizzarri attrezzi che non sapevano come maneggiare.

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Nella carriera di Hughes si annoverano 8 film da regista e molti di più da sceneggiatore. A volte dovette scendere a compromessi. Per esempio, non avrebbe dovuto girare La donna esplosiva, ma la produzione gli promise che, se oltre a scriverlo l’avesse anche diretto, avrebbe finanziato anche Breakfast Club, che è considerato il manifesto di una generazione (e che ha anticipato, in un certo senso, molte cose realmente accadute, tra cui il massacro alla Columbine High School).

Uno dei meriti di Hughes è stato quello di consegnare al mondo quella splendida creatura che si chiama Molly Ringwald. Oggi la vediamo in Riverdale, nel maldestro tentativo di diventare un’icona Lgbt, ma in realtà Ringwald iconica lo è sempre stata. Oltre a essere nel cast di Breakfast Club ha interpretato per la regia di Hughes anche Sixteen Candles, e con la sola sua sceneggiatura di Hughes anche Bella in rosa, accanto al sempre meraviglioso Harry Dean Stanton. Una piccola curiosità: il finale di Bella in rosa non era stato concepito in questo modo. Per cui se vi siete chiesti come mai Andrew McCarthy abbia dei capelli decisamente strani al prom, è presto detto: indossa una parrucca. Il finale definitivo fu infatti girato successivamente all’anteprima e l’attore si era già preparato per un ruolo decisamente meno romantico: probabilmente si trattava di Kansas con Matt Dillon o Al di là di tutti i limiti, trasposizione cinematografica di Meno di zero di Bret Easton Ellis in cui era protagonista.

Tra i giovani talenti che Hughes ha contribuito a creare, ricordiamo che l’artista scrisse la sceneggiatura di Tutto può accadere, nel cui cast figurava Frank Whaley. Non vi dice nulla questo nome? E se vi dicessimo: «Marcellus Wallace ha l’aspetto di una p*****à?». Sì, esatto, Frank Whaley appare nella prima scena di Pulp Fiction, come seconda vittima del gangster Jules, interpretato da Samuel L. Jackson. Ma forse il più noto talento per cui Hughes è celebre è probabilmente Macaulay Culkin, protagonista di Mamma ho perso l’aereo, che fu scritto ma non diretto dall’artista. Macaulay Culkin era già stato nel cast di Io e zio Buck (scritto e diretto da Hughes), mostrando le sue incredibili capacità istrioniche.

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