È uno dei film più particolari del mondo del cinema: quasi tutte le scene si svolgono in un aeroporto. Scelta difficile ma che dà i suoi frutti.

di Paolo Merenda

Tom Hanks, già uomo simbolo del successo cinematografico di Forrest Gump, ormai fenomeno globale che ha dato vita, tra gli altri, a una catena di ristoranti con i gamberi come piatto forte, è un attore davvero notevole. Oltre al difficile personaggio citato, ha dato vita al professor Robert Langdon, nato dalla penna di Dan Brown, al protagonista sia di Philadelphia che de Il miglio verde (giusto per citarne alcuni) e a un altro personaggio che ricordo con piacere, Viktor Navorski di The Terminal, film del 2004 diretto da Steven Spielberg. D’altronde, è pur sempre uno dei soli due attori nella storia ad aver vinto due premi Oscar in due anni consecutivi.

Viktor è un uomo che, partito dal suo paese, non reale, Krakozhia, vive una strana situazione perché mentre è in volo per New York nella sua nazione c’è un colpo di stato che lo rende fuorilegge in America, ma impossibilitato a tornare in patria. Per questo motivo, deve sostare nel terminal dell’aeroporto internazionale intitolato a John Fitzgerald Kennedy a tempo indefinito. Ne diventa un abitante a tutti gli effetti, con tanto di lavoretti saltuari, amici tra chi ci lavora stabilmente e gelosie da parte di altre figure che frequentano l’aeroporto, e anche una donna con cui nasce una strana amicizia, che in qualunque altro caso si sarebbe forse trasformata in amore, ma non lì, dove Viktor è “recluso”. Bella e toccante, infine, la storyline che ha portato l’uomo ad andare in America.

Con lui nella pellicola, Catherine Zeta Jones e Stanley Tucci. L’attrice premio Oscar nel 2003 non ha certo bisogno di presentazioni, e nemmeno Stanley Tucci, che ha 2 Golden Globe all’attivo, ma voglio citare il film con cui l’ho scoperto, ovvero Easy Girl. Trovo che in quella pellicola, oltre alla bravura della splendida Emma Stone, parte del successo sia dovuto a lui, che interpreta il padre della ragazza messa in discussione dalla società.

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Ma torniamo a The Terminal, perché a suo tempo mi avvicinai al film per la classica curiosità «tratto da una storia vera»: Steven Spielberg ha avuto e ha una carriera fantastica, che si può riassumere con la vittoria del Premio alla memoria Irving G. Thalberg. Si tratta di una categoria di premi Oscar assegnata non annualmente ma solo in caso ci sia una personalità notevole da premiare, che viene data “ai produttori creativi, i cui lavori riflettono delle continue produzioni cinematografiche di alto livello”. Spielberg l’ha vinto già nel 1987, e da allora ha sfornato film di rilievo per ulteriori 30 anni e passa.

Ebbene, il regista ci ha visto lungo nell’incontrare la persona che ha vissuto una storia simile, il rifugiato politico iraniano Mehran Karimi Nasseri, che di anni in un aeroporto ne ha passati ben 18 (e ne è uscito solo per un problema di salute). Ora, mi immagino la vita di un uomo in queste condizioni, non tanto per la difficoltà ma per quanto riguarda il tipo di contatti umani labili tra chi parte e chi arriva, e ne rivedo qualche tratto nella bella interpretazione di Tom Hanks. Ed è questo che deve dare il cinema, deve far sembrare realistiche le storie più assurde, altrimenti non scatta la vicinanza ai personaggi e l’immedesimazione che fa entrare la storia nel cuore.

The Terminal, che al momento è nel catalogo Netflix, riesce in tutti questi aspetti, ed è a mio avviso da scoprire nella sua forza narrativa.

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