Torno su un discorso che ho già fatto, ma che stavolta aggiunge dei dettagli: come siamo arrivati a Grease e le Abissine (ma prima c’è stato altro).
Sapete, tempo fa andavo spesso a cena da un “fascista”. Lo metto tra virgolette perché mi riferisco a un nostalgico del fascismo, nato peraltro successivamente al Ventennio, non a un gerarca. Era un uomo che aveva un ristorante dalle mie parti e lì si mangiava davvero bene. Era un posto strano il ristorante del fascista: tra busti di Mussolini e manufatti africani, c’erano delle incredibili locandine originali di vecchi film come Il triangolo circolare. Mi piaceva molto, ci scherzavo anche e dicevo: l’unico fascista buono è il fascista che cucina.
Non mi voglio dilungare su un discorso sul fascismo e su quanto i suoi estimatori oggi siano nel migliore dei casi delle persone senza prospettiva. Non prospettiva storica, parlo proprio di prospettiva reale. Molto spesso è gente che non capisce che, se ci fosse il fascismo, non potrebbe vomitare odio su Facebook tutto il giorno anche perché Facebook non ci sarebbe nemmeno. Ma non voglio divagare.
Nei giorni scorsi, c’è stato un dibattito relativo alle critiche ricevute dalla pasta La Molisana per una cosa che era scritta sul sito del marchio. Il problema, come invece hanno capito molti, non era che La Molisana avesse due tagli di pasta che si chiamavano Abissine e Tripoline, ma perché nella spiegazione si leggeva che questi tagli avevano un «sapore littorio». Sono seguite le scuse del marchio e il cambio del nome. Credo però che quest’ultima misura sia stata un po’ esagerata: il problema era in effetti il «sapore littorio», non certo le Tripoline, che per esempio vengono realizzate da diversi marchi di pasta (vedi Rummo e De Cecco, e sul sito di quest’ultimo brand viene raccontata una storia un po’ diversa sull’origine ma probabilmente sempre relativa al Ventennio). Le Abissine in realtà non le avevo mai sentite. Il problema quindi non è un nome, ma una chiave di lettura che attribuiamo a questo nome.
Non abbiamo fatto in tempo ad archiviare la polemica, che ne è spuntata un’altra su Grease, in particolare su alcuni brani che avrebbero carattere misogino e inneggerebbero allo stupro. (È stata una grande settimana, eh, tra fascismo e stupro?) Tra le obiezioni a Grease c’è il fatto che nel brano Summer Nights i T Birds chiedano a Danny se Sandy abbia «lottato». Naturalmente non c’è stato nessuno stupro in Grease – tanto più che forse il film parla di una ragazza in coma che annega ma sogna un anno di scuola con tanti nuovi amici, come in un’ormai celebre teoria di trama.
Si tratta di una questione che è già stata trattata per versi simili in relazione al brano Baby It’s Cold Outside, che parlerebbe appunto di uno stupro. L’argomento viene trattato anche nel film Sto pensando di finirla qui (occhio, seguono spoiler, non proseguite se dovete vedere questo film): Charlie Kaufman ci ha proposto un punto di vista e l’esatto contrario in due fidanzati che litigano in auto, lui dice che è una canzone degli anni ’30 e quindi non si riferisce a uno stupro, ma lei è certa di sì. Lui e lei, nel film, rappresentano in realtà una sola persona, sono le due facce di una stessa personalità. La questione diventa così una metafora: come dovremmo comportarci quando inizia ad affermarsi una nuova sensibilità su un certo tema? Dobbiamo cancellare il passato o cercare di fornire alle persone uno strumento per comprendere attraverso il proprio spirito critico? Dobbiamo continuare a raccontare il passato, anche con le sue eventuali storture, fornendo alle persone gli strumenti per discernere? Per me è sì, come ho già spiegato nel caso di Via col vento.
Forse ho torto e forse dovremmo essere prontissimi ad abbracciare la nuova sensibilità senza porci due domande su contenuto e forma. o forse, davvero, l’unico fascista buono è il fascista che cucina.