Le partite interminabili, il rischio di finire i soldi… Inoltre, chi non ha mai sperato di mettere un albergo su Parco della Vittoria, durante una partita a Monopoly?
di Paolo Merenda
Può non stupire che un franchise importante quale è diventato Monopoly abbia una storia complessa e travagliata. Però tra cause legali, varianti immesse sul mercato nel corso degli anni e il nome stesso del gioco da tavolo, c’è davvero molto dietro al variopinto quadrato in cartoncino tra i più famosi al mondo.
La nascita stessa del Monopoly è legata a stretto giro alla causa legale maggiore, seppur molto successiva: nei primissimi anni del 1900 fu Elizabeth Magie, imprenditrice e autrice di giochi, a brevettare The Landlord’s Game, per creare momenti leggeri con gli amici durante il gioco e, allo stesso tempo, applicare le cognizioni di economia e renderlo in qualche modo didattico.
Nel 1934, però, l’ingegnere Charles Darrow, apportando diverse modifiche, lo brevettò nuovamente creando, sulla carta, un gioco nuovo. In realtà il confine, labile, crollò nel 1982, dopo 9 anni di causa legale cominciata nel 1973 con gli inventori del gioco Anti-Monopoly, accusati dagli eredi di Darrow di aver copiato l’idea. Le cause, con marchi così grandi, sono all’ordine del giorno, basti pensare a quella nata agli esordi del social network Facebook, ma questo caso finì in modo diverso. I possessori del marchio Monopoly fecero appunto causa a quelli di Anty-Monopoly, ma gli avvocati che rappresentavano questi ultimi annullarono le accuse scoprendo che il brevetto di Darrow, a cui si appoggiava il gioco, non poteva essere considerato tutta farina del suo sacco, proprio per la presenza del brevetto precedente, e della base creata quasi in toto da Elizabeth Magie.
Prima che il verdetto rendesse il gioco una giungla di varianti tutte uguali e senza diritti legali, la Hasbro acquistò l’intero acquistabile in termini di brevetti, mossa vincente con il passare degli anni, grazie alla distribuzione in più di 100 paesi e la traduzione in più di 30 lingue.
Ma la variante forse più particolare, e ormai oggetto raro e per collezionisti, era stata già immessa e tolta dal mercato, ed è quella dell’arrivo in Italia, datato 1936: si era nel pieno del ventennio fascista, e Benito Mussolini pretese la traduzione togliendo la Y finale (è stata poi reinserita solo nel 2009), a differenza di tante altre nazioni che mantennero il nome originale. Non fu una piccola variazione col senno di poi, perché adesso, se la leggiamo mentalmente, pensiamo alla città di Monòpoli. Invece, l’idea alla base è il monopolio di chi vince, quindi in inglese la pronuncia è monopòli. Ma cosa aveva di particolare la versione in commercio durante il fascismo? Il nome di alcune strade, tradotte per il mercato italiano, e cambiate alla caduta del regime, quando vennero mandate in pensione le caselle Via del Fascio e Largo Littorio, tra le altre. Se ha fatto tanto rumore la pasta abissina, figuriamoci come sarebbe sembrato anacronistico comprare un albergo in via del Fascio oggi.
La questione varianti, comunque, offre un mercato sconfinato, e specialmente negli ultimi anni ne sono nate tantissime, legate ai marchi più amati dal pubblico. Se quasi ogni nazione ha cambiato il nome delle strade mettendo quelle dei propri luoghi, alcune versioni hanno immesso direttamente i nomi dei luoghi di fantasia. Parco della vittoria, ma anche viale Monterosa, largo Colombo, via Roma fino ai meno ambiti vicolo stretto e vicolo corto, hanno un nome di volta in volta diverso nelle edizioni dedicate a brand specifici.
In commercio troviamo ad esempio:
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