I molteplici usi, da quelli originali passando per gli utilizzi tristemente noti nei campi di concentramento, per finire perfino a quelli ludici, si fa per dire: la storia del filo spinato.
di Paolo Merenda
La misura del momento in cui possiamo datare l’ingresso di un oggetto nella società umana è data dal rilascio dei brevetti. Tranne ovviamente se parliamo di invenzioni precedenti al 1421, quando in Italia Filippo Brunelleschi depositò la prima, per una struttura galleggiante, con le altre nazioni a prendere esempio per brevettare qualunque cosa col passare del tempo. Ma questa è un’altra storia, su cui potrei anche tornare in futuro.
Il brevetto del filo spinato, descritto come «due fili di ferro con una serie di spine», è del 1874 di Joseph Glidden, ma già durante la Guerra di Secessione americana del 1861-1865 ne era stato fatto un largo uso. La cosa pratica consiste nel poterne trasportare grandi quantità, oltre a poterlo posizionare con facilità. Ma il primo utilizzo non bellico segnò un passaggio fondamentale nella storia dell’uomo.
In pratica, fino ad allora gli animali scorrazzavano liberi e, seppur l’uomo poteva controllare i propri allevamenti, i capi di bestiame girando mangiavano quel che capitava. Ciò impediva lo sviluppo dell’agricoltura su larga scala, almeno nei luoghi dove gli animali erbivori si riproducevano con facilità. L’invenzione e l’applicazione del filo spinato portò ai recinti, per animali. Ebbene, potendo contare sui capi di bestiame ben chiusi, il resto del suolo fu lo spazio giusto per far nascere l’agricoltura come la conosciamo oggi.
Ci furono ovviamente anche conseguenze negative. Senza entrare nel campo delle cause animaliste, una fu la limitazione data al bisonte americano che, non potendo più muoversi come voleva, andò incontro all’estinzione degli esemplari abituati allo stato brado. A oggi, i bisonti sono sopravvissuti grazie ad alcuni esemplari cresciuti in cattività e reimmessi nei parchi e nelle riserve naturali. Solo recentemente sono diventati nuovamente specie da poter cacciare, seppur in poche regioni in Russia e Messico.
In guerra o per altri motivi, su strutture militari ad esempio, le catene di filo spinato sono ben visibili, e fungono da deterrente psicologico oltre che come forma di sicurezza. Un esempio potrebbe essere il muro di Berlino, che divideva appunto la città tedesca ed è stato un simbolo della guerra fredda. Oppure, come avete potuto vedere nei giorni scorsi durante il Giorno della Memoria, per delimitare i campi di concentramento nazisti, in cui gli ebrei venivano spogliati di qualunque dignità prima ancora che della vita. E quale simbolo migliore che il filo spinato, per giunta elettrificato, per declassarli da esseri umani ad animali? (Chiaramente inserite tutto nella propaganda dell’epoca, che faceva una distinzione tra animali nobili e animali da soggiogare, molto lontana dal modo in cui oggi tendiamo a vedere uomini e animali, cercando di restituire a tutti gli esseri viventi la dignità necessaria).
Ormai, con i conflitti tra nazioni che si risolvono a distanza o grazie all’aiuto di grossi mezzi per cui il filo spinato non è un ostacolo, nemmeno l’invenzione del nastro spinato, ben più pericoloso perché in pratica è una striscia di taglientissime lame, sembra assicurare un futuro all’invenzione di Glidden.
Tranne in un campo, in cui addirittura la gente si lancia felicemente contro il filo spinato di propria volontà. Nel wrestling. L’introduzione di filo spinato si fa risalire ai primi anni ‘90 nella federazione giapponese Fmw, a opera del promoter portoricano Victor Quiñones. Se avete visto il cartone animato L’uomo tigre, ricorderete i discutibili metodi di allenamento di Tana delle tigri. Ebbene, tolta l’ovvietà che il puroresu giapponese non prevede allievi che cadono nella lava bollente, lo stile giapponese è sempre stato più duro del wrestling messicano o americano. Seguivo un wrestler, Mr. Pogo, scomparso nel 2017, che si presentava sul ring con oggetti che effettivamente usava nell’incontro, come una falce, o a volte delle spade, per dire il livello di follia delle piccole federazioni nipponiche. La Fmw introdusse, oltre al filo spinato, anche gli esplosivi, quasi sempre piccolissime cariche, ma pur sempre bombe pronte a esplodere e, anzi, per il diletto del pubblico i wrestler si organizzavano per finire sul maggior numero di cariche possibile.
La stipulazione fa parte degli hardcore match ed è nota come barbed wire match (tradotto è appunto il match del filo spinato): prevede che quest’ultimo venga messo al posto delle corde attorno al ring, e in America trovò fortuna nella Ecw. Tra gli atleti maggiormente a proprio agio con i tagli da puntine vi sono stati Mick Foley, Tommy Dreamer, Sabu e Terry Funk, con gli ultimi due autori di un incontro del 1997 che è da molti considerato il migliore del settore. Nei giorni nostri, Eddie Edwards e Sami Callihan stanno brillando sempre di più e proprio il 16 gennaio a Impact, ex Tna, hanno disputato un notevole barbed wire massacre (più giù ne spiego la differenza rispetto a un match).
Se non avete mai seguito il wrestling, potreste aver comunque visto un incontro (finto) con il filo spinato. Nel film The Wrestler, il personaggio interpretato da Mickey Rourke, Randy “The Ram” Robinson, lotta contro Necro Butcher, nella Czw. Ebbene, sia Necro Butcher che la Czw esistono davvero e sono rispettivamente un atleta folle e a suo agio con le stipulazioni più estreme (si presenta sul ring con una sparapunti che usa sull’avversario o direttamente su se stesso), e una federazione che ha lanciato l’evoluzione del barbed wire match, il barbed wire massacre, in cui tutto quello su cui possono mettere le mani i due avversari è avvolto da filo spinato: corde e angoli del ring, tavoli, sedie, mazze da baseball e molto altro.
Per i puristi della disciplina non è vero wrestling, ma di sicuro viene comprato molto filo spinato.