Totò lascia o raddoppia? portò in scena, nel 1956, una trama che strizzò l’occhio al programma omonimo condotto da Mike Bongiorno nello stesso periodo.

di Paolo Merenda

Lascia o raddoppia? è forse il padre di tutti i quiz televisivi, non a caso condotto da Mike Bongiorno, il padre della tv italiana (prestigiosissimo titolo che divide volentieri con Pippo Baudo, Corrado e forse qualcun altro che ora non mi sovviene).

Il quiz, andato in onda dal 1955 al 1959, venne spostato, nel 1956, dal sabato sera al giovedì, perché i gestori dei locali si lamentavano di non vedere un’anima in giro di sabato, da quando il 26 novembre 1955 era partita l’epopea di Lascia o raddoppia? Una cosa a cui si stenta a credere, in quest’era di social, Netflix (che ti permette di vedere quello che vuoi, quando vuoi, anche dopo essere andato in giro) e quant’altro. Ma nel 1955 la novità della televisione appassionava tutti, anche il principe della risata, Totò. Fu lui a interpretare il protagonista in un film del 1956 per la regia di Camillo Mastrocinque, che si chiamava appunto Totò lascia o raddoppia? e che vedeva lo stesso Mike Bongiorno in un ruolo centrale, per di più interpretando se stesso.

Il duca Gagliardo della Forchetta (Totò), nobile decaduto ma ancora con un maggiordomo alle dipendenze per salvare la nomea (Camillo, interpretato da Carlo Croccolo, con lui anche in Miseria e nobiltà), scopre di avere una figlia, Elsa (Valeria Moricone) che lavora in un bar alle prese con problemi economici. Il duca, esperto di ippica, per racimolare i soldi e acquistare il bar partecipa al popolare quiz televisivo dove, rispondendo in maniera corretta alle domande di Mike Bongiorno, si avvicina sempre più al montepremi finale, 5.120.000 lire, un’enormità per l’epoca e corrispondente al premio reale del quiz. Ma le cose si complicano quando due gangster scommettono uno contro l’altro su cosa farà il concorrente, che si trova preso tra due fuochi: qualunque scelta deluderà uno degli scommettitori, con possibili gravi conseguenze.

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Una trama tutto sommato leggera, con il lieto fine e l’abbraccio tra padre e figlia, ma come appare ovvio il fulcro di tutto è un prodotto che faccia da tramite dal quiz al film. Ne esce una pellicola ricordata ancora oggi tra gli estimatori di Antonio De Curtis e che contribuisce a tener vivo il ricordo, tra i cinefili, di un gioco a premi televisivo che ha cambiato le sorti del paese.

Una piccola curiosità è data dal personaggio di Hélène, fidanzata di uno dei due gangster: l’attrice italiana, Maria Luisa Mangini, per la carriera artistica scelse il nome Dorian Gray, come l’iconico personaggio di Oscar Wilde. Tra gli anni ’50 e i ’60 molti erano gli attori che americanizzavano il nome per allargare il bacino d’utenza (Bud Spencer e Terence Hill, ad esempio), ma questo mi risulta essere l’unico appellativo già precedentemente famoso.

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