Con la regia di Steve McQueen (no, non quello, un altro), esce nel 2013 un film pregno di significati, e dalle sottotrame complesse ma godibili.

di Paolo Merenda

Alcuni film partono col piede giusto, è una cosa di cui ci si accorge subito. Ancor prima di cominciare le riprese, proprio in origine: sarà forse anche per il tipo di trama, che segue dei topoi su un sentiero già segnato in passato e che ha portato alla gloria, sarà il fatto di riuscire a stare al posto giusto nel momento giusto, fatto sta che non si può prevedere ma è una cosa di cui ci si accorge poco prima che accada.

Succede per 12 anni schiavo, del 2013, e non è solo per i tre premi Oscar, tra cui miglior film, motivazione per cui vince anche il Bafta e il Golden Globe, o per il gradimento su RottenTomatoes, 95% per i critici e 90% per il pubblico, ma per tutto l’insieme. Bello il cast, con Chiwetel Ejiofor nel ruolo del protagonista Solomon Northup, poi Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Brad Pitt e Lupita Nyong’o tra gli altri, e ben curata la regia, di Steve McQueen. Non l’attore bello e maledetto vissuto tra il 1930 e il 1980, dato che questa pellicola è successiva, ma un omonimo, regista non prolifico ma di grande qualità.

La storia, poi, è tratta da un antico libro autobiografico, datato addirittura 1853, scritto da Solomon Northup, a cui avviene esattamente quanto è trasposto nella pellicola: viene rapito perché, nonostante sia di colore, ha un ruolo di rilievo nella società bene grazie alla musica che compone. Una volta rapito, gli viene tolto tutto, anche il nome, e diventa uno schiavo. Solo un incontro fortuito, 12 anni dopo, lo mette sulla strada giusta per essere liberato, per poter così riabbracciare la moglie e la figlia che non vede da allora.

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Oltre a logici motivi morali, ma solo se visti adesso, dato che all’epoca lo schiavismo era tollerato, ci sono altri tasti che tocca la visione della pellicola: l’unione familiare, l’affetto in grembo a una famiglia che viene stravolto, ad esempio. Il senso di rivalsa, di riprendersi la propria vita, è qualcosa che tutti noi avvertiamo prima o poi nel corso della nostra esistenza, ed è stato bravo il regista e i produttori a sottolinearlo, per avvicinare una platea più ampia possibile.

Ultima nota, le musiche di Hans Zimmer. Già premio Oscar per Il Re Leone, film d’animazione del 1994, ha lavorato su un numero davvero alto di film, ma sempre impreziosendo il lavoro finito. Qualche esempio? Interstellar, Il gladiatore e Hannibal, che potete trovare tutti recensiti su questo sito.

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