Mio cugino Vincenzo fa parte di quella schiera di film che deve alla fan base parte del suo successo, ma non solo.
di Paolo Merenda
Di alcune pellicole, è bene capire il punto delle carriere in cui erano gli attori quando si sono incontrati per il progetto comune. Mio cugino Vincenzo va visto anche in quest’ottica, perché è una storia in gran parte comica, ma con attori avvezzi a ben altri generi.
Se andiamo però a vedere l’anno in cui è stata realizzata dal regista Jonathan Lynn, il 1992, arriviamo a un paio di interessanti incroci. Joe Pesci (Vincenzo Gambini, l’avvocato protagonista) e Marisa Tomei (Mona Lisa Vito, la fidanzata, ruolo che le è valso il premio Oscar come miglior attrice non protagonista) di norma hanno fatto film meno leggeri, ma non agli inizi degli anni ‘90. Joe Pesci due anni prima, nel 1990, a pochi mesi di distanza dal gargantuesco Quei bravi ragazzi, aveva recitato in un altro cult, Mamma ho perso l’aereo con Macaulay Culkin (e sarebbe tornato al personaggio del ladro maldestro sempre nel 1992, appena terminate le riprese di Mio cugino Vincenzo). Marisa Tomei, invece, che per larghi tratti di carriera ha ricoperto ruoli anche drammatici, ad esempio in The Wrestler, nel 1991 aveva recitato in Oscar – Un fidanzato per due figlie, altro film che amo, con Sylvester Stallone, Ornella Muti e tantissimi attori pregevoli. Anzi, giacché ci sono: se non l’avete mai visto, fatelo appena possibile.
Senza parlare poi di Mitchell Whitfield e soprattutto Ralph Macchio. Quest’ultimo nella lunga carriera ha recitato praticamente con chiunque, oltre a essere l’iconico volto di Karate Kid, saga partita nel 1984 e non ancora conclusa, per la gioia dei fan, grazie alla serie tv Cobra Kai.
Tutti questi volti, nel 1992, non potevano che dar vita a quella storia, molto comica ma a suo modo profonda. Due ragazzi (interpretati da Macchio e Whitfield) vengono accusati di omicidio e rischiano la pena di morte. Ma in loro soccorso arriva l’apparentemente inetto avvocato, il cugino di uno dei ragazzi, Vincenzo (Vinny, nell’originale, ma comunque un italo-americano, come sono le origini di Pesci e Macchio), con la fidanzata a dargli man forte. A farsi seguire sul serio è l’evoluzione del personaggio di Joe Pesci, che caccia fuori un coniglio dal cappello ogni volta che serve, stupendo lo spettatore (e l’integerrimo giudice, interpretato da Fred Gwynne) con nozioni e applicazioni di norme della giurisprudenza mai banali.
Il modo in cui viene trattato il delicato tema della legge (o meglio ancora della giustizia), reso facile sullo schermo, mi ha sempre ricordato Una poltrona per due, in cui i complicati meccanismi della Borsa venivano spiegati in modo che tutti potessero capirli. Anzi, vi dirò di più: se fosse stato ambientato a Natale invece che nei mesi caldi, credo sarebbe stata una bella sfida tra le due pellicole per il titolo di miglior film natalizio. Non a caso, le statistiche su Rotten Tomatoes sono sovrapponibili: 86% e 87%, rispettivamente critica e pubblico, per Mio cugino Vincenzo, 173 in totale, mentre per Una poltrona per due sono 88% e 85%, sempre 173 in totale. Sì, lo so che le percentuali non funzionano così, ma mi sembrava simbolico che la somma si equivalesse con dei numeri di partenza simili e compressi nel breve spazio tra 85 e 88, come a indicare che sono universalmente riconosciute come belle in modo identico.
Mio cugino Vincenzo è a suo modo una fiaba, in cui il Bene vince sul Male e nulla viene lasciato al caso, nemmeno i veri cattivi che hanno commesso l’omicidio. Ed è un ottimo modo per riconnettersi al mondo e affrontarlo col sorriso sulle labbra.
C’è da aggiungere un altro dettaglio molto importante. Siamo in un periodo della nostra vita in cui gli stereotipi stanno venendo cancellati completamente. A volte è giusto, altre volte mi sembra un po’ esagerato. Quello di Mio cugino Vincenzo è uno stereotipo che fa ridere ma anche che mostra come il pregiudizio si riveli spesso fallace. Il modo di parlare di Vincenzo (sottolineato nel doppiaggio italiano dal siciliano Leo Gullotta), il suo modo di vestire e di comportarsi fanno sollevare più di un sopracciglio all’integerrimo giudice, ma alla fine l’intelligenza dell’avvocato vince, non senza qualche segretuccio ed escamotage. Saremmo pronti a vedere una versione di Mio cugino Vincenzo spogliata dei suoi stereotipi ed edulcorata? Io credo di no.