Nell’anniversario della morte del poeta Salvatore Toma, abbiamo parlato con Luciano Pagano che ha pubblicato con Musicaos l’opera omnia dell’artista.

Un anno fa non c’era ancora. Esisteva virtualmente in vecchi libri che qualcuno, molti custodiscono ancora gelosamente nelle proprie librerie, nelle proprie case. I più giovani conoscevano in gran parte l’opera di Salvatore Toma attraverso il Canzoniere della morte pubblicato postumo nel 1999, ma da quasi un anno esiste anche l’opera omnia, che raccoglie integralmente tutte le sillogi che Toma ha pubblicato in vita.

Credo che l’opera omnia di Toma, edita per Musicaos, sia stata una grande conquista per i lettori di tutto il mondo (al momento purtroppo solo quelli che conoscono la lingua italiana). Le liriche del poeta sono attualissime nei contenuti, nella sensibilità e, in maniera quasi incredibile, nella forma. Negli anni ’80 Toma seppe costruire attraverso le parole una metrica fatta di cuore, quello che lui metteva nel rispetto delle creature viventi, dagli uccelli ai cani, fino a fiori e foglie, testimoni di ciò che è davvero importante nella vita, una natura libera.

Abbiamo parlato dell’opera omnia di Toma con l’editore di Musicaos Luciano Pagano. Com’è nata l’idea di realizzare un’opera omnia con le poesie di Toma?

«L’idea è nata quando si sono concretizzate le premesse che poi hanno portato alla pubblicazione. Per cominciare la disponibilità da parte di Benedetta Maria Ala, che aveva svolto il suo lavoro di tesi proprio sulla poesia di Salvatore Toma, a proseguire e approfondire questo lavoro, confrontandosi con gli altri studiosi coinvolti nella stesura degli interventi critici (Lorenzo Antonazzo, Annalucia Cudazzo, Simone Giorgio) e con i direttori della collana Fogli di Via, Simone Giorgino e Fabio Moliterni e con me. La stessa collana era stata inaugurata dalla pubblicazione, a cura di Annalucia Cudazzo, delle due raccolte poetiche di Claudia Ruggeri, Inferno minore e Le pagine del travaso” si tratta della collana del Centro di ricerca Pens – Poesia contemporanea e Nuove Scritture dell’Università del Salento. Questo lavoro è stato possibile, prima ancora, grazie al confronto che Benedetta Maria Ala ha avuto con le opere scritte di Salvatore Toma, con le testimonianze e con Paola Antonucci, custode del patrimonio letterario e della memoria dell’autore. La premessa è dunque nella disponibilità e fiducia accordate alla casa editrice Musicaos, per portare a compimento un lavoro così importante, con la dedizione necessaria.»

Quando hai conosciuto per la prima volta la poesia di Toma?

«Come molti, avendo solo ventiquattro anni nel 1999, ho conosciuto i versi di Salvatore Toma leggendo il Canzoniere della morte, curato da Maria Corti per Einaudi. Appassionandomi di poesia e scrittura già allora, avevo seguito da lettore la vicenda editoriale di quel volume. Poi, negli anni, avvicinandomi e gravitando attorno all’ambiente letterario del nostro territorio, ho avuto modo di approfondire la lettura non solo dei suoi versi, ma anche degli autori a lui contemporanei e vicini territorialmente.»

Perché ti ha colpito prima come lettore e poi come editore?

«La poesia di Salvatore Toma mi ha colpito sempre per la ricercatezza e immediatezza allo stesso tempo, mi ha colpito la limatura del verso come obiettivo per raggiungere un’espressione che traduce il vero, senza complessità, unito al fatto, secondo me, che nel panorama della poesia a lui attuale, ma anche successiva, non c’è una voce che gli somigli. Questa originalità, freschezza, sono rimaste intatte anche oggi. L’idea era quella di poter restituire ai lettori, in un volume non frammentario, questo corpus poetico. Come editore, vengo sempre stupito dalle reazioni che i lettori hanno nei confronti del volume, come dinanzi alla scoperta di qualcosa che prima non c’era; bisognerebbe essere capaci di non fare mai l’abitudine alla novità della scrittura di Toma.»

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C’è stato un momento molto interessante, intellettualmente parlando, in provincia di Lecce, e Verri e Toma sono stati i simboli di quel fervore. Cosa ne resta oggi?

«Resta molto, nelle persone che hanno convissuto culturalmente con loro, che hanno proseguito in diverse direzioni e con modalità di produzione differenti, l’operatività e il fare. Il Fondo Verri di Lecce, Presidio del Libro e Associazione Culturale che (r)esiste da quasi trenta anni, è curato da Mauro Marino e Piero Rapanà; una mappa della scrittura di questa provincia non può prescindere da quel luogo, dove il concetto stesso di provincia svanisce, trattandosi di un luogo dove è transitato e transiterà un mondo di esperienze. Esperienze attorno alle quali, dalla prima volta in cui ci misi piede, nel 2001, nacquero le relazioni che mi permisero di raccogliere gli autori usciti nei ventisette numeri di Musicaos, dal 2004 in poi. Esiste l’esperienza di Astragali Teatro, di Fabio Tolledi, nella scrittura scenica, nell’elaborazione e rielaborazione continua della contemporaneità a confronto col mito e i nuovi linguaggi, con un’attenzione storica nei confronti dei fermenti artistici del territorio e una misura internazionale. Ci sono tre autori salentini, una con origini napoletane, uno con origini milanesi, e uno leccese, che hanno riscritto in versi e in modi e in linguaggi diversi, negli ultimi venti anni, il Cantico dei Cantici, rispettivamente Claudia Ruggeri, Fabio Tolledi, Simone Giorgino. Esiste l’esperienza decennale di Simone Franco, tra i pochi a poter dire di essersi confrontato su diversi linguaggi con realtà artistiche internazionali e transcontinentali, come regista, autore, performer, “fabbricante di armonie”, con una definizione che richiama proprio Antonio Leonardo Verri. Questo se si parla di operatività, di azione, ma anche di riflessione intellettuale “sul fare”. Il pluralismo e la ricchezza sono caratteristiche di quel periodo di cui da una decina d’anni, si può dire, è maturata e fruttifica una generazione successiva alla “stupenda generazione” di cui scriveva nel 1988 Antonio Verri: “Uno per volta gli autori già trattati: Salvatore Toma poeta, Cosimo L. Colazzo compositore, Lucio Conversano pittore, Oronzo Coluccia pittore, Abele Vadacca scultore, Costantino Giannuzzi scrittore, Gigi Specchia pittore, Edoardo De Candia pittore. Un nostro lavoro monografico, purtroppo non possibile anche per scelte editoriali, avrebbero sicuramente meritato: F. Tolledi, F.S. Dodaro, A. Massari, A. Errico, R. Guido, F. Gelli, A.M. Massari L. Elia, C.A. Augieri, S. Sperti, R. Spada, E. Imbriani, E. Corianò, C. Ruggeri, A.M. Cenerini, W. Vergallo e volendo in certo modo allargare non avremmo avuta nessuna difficoltà ad includere: A. De Carlo teatrante, F. Bevilacqua fotografo, E. Miglietta operatore poetico, R. Greco pittore, M. Didonfrancesco cartapestaio-pittore, V. Balsebre, P. Liaci, S. Nocera, S. Greco, R. Sambati, Giuseppe Conte, e sicuramente qualche altro che adesso ci sfugge. (E tutto ciò non con la voglia di fare un minestrone, bensì per cercare di tirare le prime fila di questa splendida stagione salentina).” (BPP, APULIA, IV, Dicembre 1988). Tra le mani ho un numero dei CT COMPACT TYPE, il numero 4, dal “Pensionante De’ Saraceni”, Nuova Narrativa a cura di Francesco Saverio Dodaro e Antonio Verri, edito nell’aprile del 1990. Si tratta di “Ritmi o trame altre”, di Fabio Tolledi. Il numero 1 era del curatore di collana, Francesco Saverio Dodaro; il numero 2 di Antonio Verri, il numero 3 conteneva “Canzone antica”, di Oronzo Liuzzi. Proprio di Oronzo Liuzzi uscirà prossimamente, con Musicaos Editore, “NON STOP (1970-2020)”, un’antologia che raccoglie una selezione del suo percorso poetico di cinquanta anni.»

Toma andrebbe insegnato a scuola?

«Salvatore Toma ha avuto la capacità precorritrice se non profetica, di guardare con un occhio differente la natura, raccontando il suo rapporto con gli animali, con l’ambiente. Si tratta, solo per fare un esempio, di temi di fronte ai quali è richiesta oggi una sensibilità maggiore, temi che devono entrare nel nostro Dna e nel nostro linguaggio da subito, fin da piccoli appunto, e disporre di un linguaggio che parla alle emozioni, con poesia, relativamente al rapporto con le creature e in modo laico, aperto, può essere d’aiuto. Non esiste secondo me un’età indicata, anche perché spetta alla sensibilità degli insegnanti, individuare nell’opera di Toma i testi in base anche all’età e al pubblico. Sarebbe un peccato che una tale esperienza non venga trasmessa nelle scuole.»

Esistono degli eredi della sua poesia?

«Quando la poesia raggiunge certi vertici di espressione, esiti di un livello critico riconoscibile, più che di eredi si può parlare, secondo me, di autori che si possono più o meno ispirare, o possono venire più o meno ispirati e suggestionati dalla scrittura di un autore. Un autore come Montale, Zanzotto, può lasciare “eredi”, in senso stretto e letterariamente parlando? Ci possono essere persone che percorrono le stesse strade, che fanno tratti di strada insieme utilizzando le stesse indicazioni, di lettura e scrittura, compiendo un percorso che per un po’ diviene comune. Se l’eredità poetica si potesse paragonare a un abito, il poeta non è colui che lo indossa, ma il sarto che lo cuce, prendendo pezzi di stoffa dove può. Certo è che accostandomi alla scrittura poetica, sul finire degli anni novanta e nel nostro territorio, la forza poetica e “ctonia” della poesia di Salvatore Toma e di alcuni autori a lui contemporanei e vicini, era percepibile, palpabile, nell’aria, ed è vero che una “sensibilità creaturale”, secondo me, laddove sia rintracciabile in alcuni autori, non può che essere stata filtrata anche dalla lettura dei versi di Salvatore Toma. Ho la fortuna di conoscere molt* brav* poet*, e come si dice su Messenger, “rispondo in privato”. Il Salento è una terra particolare, in cui non esiste un “tempo” ma esistono, secondo me, “tempi”, e in cui la concentrazione di esperienze culturali, molte delle quali di rilievo, e il loro incessante confronto, permette di coesistere e vivere la scrittura in modo particolare. Ogni tanto c’è chi si mette a fare elenchi di eredi, a cavallo tra cronaca e critica, qui mi piacerebbe citare un passo da un libro di George Steiner che amo molto, dal titolo “Tolstoj o Dostoevskij”: “Ci sono più di cento grandi libri, ce ne sono anche più di mille, ma il loro numero non è inesauribile. A differenza sia del recensore che dello storico della letteratura, il critico dovrebbe occuparsi di capolavori. Il suo primo compito è quello di distinguere non tra il buono e il cattivo, ma tra il buono e l’ottimo”, negli elenchi bisognerebbe secondo me riuscire a discernere l’episodico dal periodico, dalla poesia che ritorna. Sarebbe bello incontrare una scrittura che sia stata capace di metabolizzare i versi di Salvatore Toma, così come Toma è stato capace di assorbire e rendere sua la lezione di Giacomo Leopardi, un poeta di cui Toma era erede.»

(La foto in evidenza è stata scattata dallo stesso Salvatore Toma e ritrae uno dei suoi iconici adesivi. La pubblichiamo su gentile concessione della famiglia del poeta, che ringraziamo).

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