Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler affronta il tema degli archetipi nei libri o nelle sceneggiature di film. Se ci pensate, la stragrande maggioranza li contiene.
di Paolo Merenda
Edito per la prima volta nel 1992, e poi ampliato sempre più fino alla versione del 2007, Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler è un saggio che chi scrive narrativa o sceneggiature per lungometraggi deve leggere. Vi si spiega come i topos siano sempre gli stessi e ci sia un numero di tipologie, seppur ampio, comunque limitato da certi paletti, quando si ricorre a un parto della fantasia.
La struttura che Vogler descrive si divide in tre parti: partenza o salita, iniziazione o discesa, ritorno. Sono i tre atti forse maggiormente percepibili nella letteratura fantasy, tanto che voglio fare un piccolo gioco con voi, unendo anche il suo discorso sui personaggi.
L’eroe, il centro della storia, con un aiutante (che sia metaforico o reale), compie un viaggio (che sia metaforico o reale, di nuovo). È sorretto da un mentore, o guida. La storia parte dal mondo ordinario dell’eroe, che viene spinto nel mondo straordinario, dove affronta prove sempre più difficili, fin quando, grazie alla forza di un amuleto, un simbolo potente, compie finalmente la missione e batte il più potente antagonista. Prima che la compia, il mentore sacrifica se stesso (di solito poco dopo avergli dato l’amuleto) affinché la missione vada a buon fine. Quindi c’è il ritorno al mondo ordinario, in cui c’è un’ulteriore battaglia finale, e un nuovo stato di quiete, con la consapevolezza però di ciò che si è fatto.
Ecco, vi viene in mente un successo, forse “il” successo, fantasy, che ricalca la struttura? È in pratica la trama de Il signore degli anelli di J.R.R. Tolkien. Frodo come eroe, Sam l’aiutante, Gandalf il mentore, l’Anello il simbolo, Sauron l’antagonista, e per ultimo la guerra a Saruman una volta che gli hobbit tornano alla loro Contea è la battaglia finale.
Non è il solo esempio, infatti ne prendo due più moderni: un libro, anzi un’altra trilogia, e un film, che ha dato il via a una saga.
Parlo di Rocky e la trilogia (anzi tetralogia, ma il capitolo più recente è un prequel, Ballata dell’usignolo e del serpente) di Hunger Games, ma davvero se ci pensate troverete dovunque il senso del saggio di Vogler, cioè che, se non tutti, alcuni dei punti da lui descritti sono obbligati quando si fa ricorso all’arte.
In Hunger Games l’eroina assoluta, Katniss Everdeen, deve addirittura sovvertire una dittatura ben piantata da decenni nel substrato culturale, a opera del presidente Snow. Il mentore è un improbabile alcolista, Haymitch, e il simbolo la ghiandaia imitatrice, addirittura anche sotto forma di amuleto fisico, una spilla che lei porta sempre con sé. Nel saggio di Christopher Vogler, Il viaggio dell’eroe, ci sono due passaggi del primo atto, chiamata all’avventura e rifiuto della chiamata, che l’autrice Suzanne Collins ripropone, quando cioè il tributo pescato a sorte è Primrose, la sorellina di Katniss. Il rifiuto, che per Vogler si risolve nell’abbracciare la missione, per l’eroina avviene quando deve togliere Primrose dalle grinfie degli Hunger Games, i giochi mortali che vengono disputati ogni anno fra i distretti.
Rocky è forse ancor più emblematico: Sylvester Stallone, che ha scritto la sceneggiatura e interpreta Rocky Balboa, ha una guida nel vecchio allenatore Mickey che è quasi mistica, e che lo motiva con un amuleto, il ciondolo d’oro a forma di guantone da boxe, che per Mickey significa davvero molto. E ancora più emblematica la fine. Torniamo al saggio. L’ultimo tassello del terzo atto, ritorno, è così descritto: ritorno con l’elisir, ovvero l’eroe, l’archetipo, torna definitivamente cambiato dopo aver vinto la missione. Ma Rocky, nel primo film, non perde? Non è del tutto esatto.
In un passaggio toccante con la neofidanzata Adriana (l’aiutante) Rocky dice che la sua missione è rimanere in piedi per 15 round contro Apollo Creed (l’antagonista) perché nessuno ci è mai riuscito, e questo significherebbe che lui non è il solito bulletto da periferia. Infatti, nonostante la sconfitta, rimane in piedi, raggiungendo la missione e l’elisir. Rocky Balboa, il geniale personaggio nato dalla mente altrettanto geniale di Sylvester Stallone (geniale non per modo di dire, perché grazie all’elevatissimo quoziente intellettivo è uno dei membri più celebri del Mensa, associazione che raccoglie i cervelloni di tutto il pianeta), passato alla storia come il perdente in cui tutti si identificano, in realtà, saggio di Vogler alla mano, è un vincente già al primo film, senza attendere il secondo, in cui vincerà effettivamente la cintura. I topos quindi, come vedete, sono presenti in ogni fase.
Re Artù e mago Merlino, un romanzo a caso di Dan Brown con il professor Robert Langdon (portato sullo schermo da Ron Howard) e tanti altri casi “intermedi” a livello temporale, seguono il canovaccio di Christopher Vogler. Segno che Il viaggio dell’eroe è e resterà sempre attualissimo.