Una riflessione su distopia e guerra reale. E sui “nemici”
Questa mattina, mentre sfogliavo le ultime foto dell’attacco all’Ucraina, ho iniziato a pensare a dei libri e dei film che mi piacciono molto: quelli di Hunger Games. Che sono di genere distopico.
Una premessa è d’obbligo quando parliamo di distopie. Si tratta di un genere letterario prima e cinematografico poi, basato su fatti storici realmente accaduti, che vengono rimescolati e rivisitati per essere trasposti nel presente o nel prossimo futuro. Il risultato affascina tantissimo gli appassionati di teorie del complotto, che prendono queste opere di fantasia e ne fanno il paradigma dei tempi in cui viviamo. È pur vero che certe cose sono accadute e che potrebbero tornare ad accadere, però stare lì a rimarcare, a scrivere post allarmisti sui social serve a ben poco.
In questi giorni siamo bombardati da informazioni. Quello che sapevamo sull’Ucraina si limitava a Chernobyl, a una vecchia pubblicità dell’enciclopedia del Corsera e forse a una serie di piatti tipici con la panna acida. È scontato dire che si è contro la guerra. Parafrasando Bulgakov, uno che di regimi se ne intendeva eccome, ci rendiamo conto di quanto stavamo bene solo quando qualcosa interrompe il nostro stato di benessere. La paura è un sentimento comune e ormai ci accompagna da tempo. Quanto tempo manca all’Apocalisse?
Però, tra essere informati e capire a fondo, ce ne corre. Non mi lancerò in un’analisi geopolitica, perché credo di non esserne all’altezza. Una cosa la so: quando parliamo dei Paesi che hanno fatto parte dell’ex Unione Sovietica o del Patto di Varsavia, andiamo a scandagliare qualcosa che ci è completamente alieno. Nonostante l’Italia abbia avuto una dittatura durata 20 anni, non solo non c’è più molta gente che la ricorda per sopraggiunti limiti d’età, ma c’è anche un altro fatto: seppur parte della propaganda fascista sia nel nostro Dna, ci siamo liberati di moltissime cose tipiche del fascismo. Nel Paesi ex Urss non è così, e chissà quante generazioni servono a smantellare un sistema di segreti e bugie ormai fisso nella mente delle persone.
Ora arriviamo a Hunger Games, tranquilli. In Hunger Games c’è una dittatura con una capitale (o Stato centrale), che agisce da parassita nei confronti dei suoi Distretti: a Capitol City la gente arricchisce, mentre nei distretti più periferici un ragazzo deve far finta di bruciare il pane per poter fingere di gettarlo via per darlo in realtà alla ragazza di cui è innamorato. I Distretti intanto vivono nell’odio, sono fomentati all’odio grazie a un reality show all’ultimo sangue. Ma a un certo punto c’è chi si ribella, ma la ribellione rischia di consegnare il potere nelle mani di una dittatrice più sanguinaria del suo predecessore. E allora c’è una domanda che ricorre. La ripetono in tanti, lungo il corso della storia: «Ricordati chi è il vero nemico».
Quello del “nemico” nella cultura pop è un concetto interessante e variegato. Penso a canzoni come La guerra di Piero o Il mio nemico, penso al gruppo dei Public Enemy, o a film come A letto con il nemico. Il nemico è l’avversario, l’antagonista, chi è avverso. A volte un nemico è una persona cattiva per davvero, altre volte il nemico è solo quello che la società ci ha imposto come tale (per esempio gli afroamericani nel razzismo sistemico degli Usa, come usano rimarcare i Public Enemy, che non a caso cantano una canzone che si intitola Fight the Power). E allora i concetti di potere e di nemico sono legati, ma non sempre chi ha il potere ci è nemico, così come il nemico potrebbe non avere potere.
Le foto di questa mattina erano eloquenti. Ce n’era una con un soldato russo carbonizzato, con la faccia rivolta a terra. Mi sono ritrovata a pensare se lui si sia chiesto chi fosse il suo nemico. O se sia morto inconsapevole di difendere interessi che non l’avrebbero mai riguardato.