Un thriller fatto davvero bene, e godibilissimo: Panic Room riesce a cogliere nel segno con una trama molto curata.
di Paolo Merenda
David Fincher è un altro di quei registi che, col tempo, ho cominciato a seguire lungo le sue produzioni. Non poteva mancarmi quindi Panic Room, film del 2002 che, nel rivedere in vista di questo articolo, mi ha colpito ancora di più. Una cosa su tutte, le scene girate in digitale, dei veri viaggi all’interno della casa in cui tutto si svolge.
E, come Il Cubo o il quasi omonimo Il Buco, le ambientazioni sono ridotte all’osso, dando spazio all’idea di base in sé: tutto si svolge quasi esclusivamente in una sola casa, con le scene all’aperto che arrivano al momento giusto e sono emblematiche, ad esempio l’ultimissima al parco. Qui c’è la maestria di Fincher che, oltre a Seven, Zodiac, Fight Club, Il curioso caso di Benjamin Button, The Social Network e molto altro, senza dimenticare i videoclip musicali per artisti del calibro di Madonna, Michael Jackson, Sting, i Rolling Stones, Billy Idol, gli Aerosmith e i Nine Inch Nails, dimostra di saperci fare anche con trame claustrofobiche.
Le due protagoniste, mamma e figlia, difatti, passano la gran parte del tempo nella panic room, una stanza segreta in cui si rifugiano dopo che tre ladri entrano in casa con l’intenzione di svaligiarla. Purtroppo, la cassaforte che i ladri cercano si trova esattamente al centro della panic room stessa. Inizia così il gioco del gatto col topo, con qualche incursione esterna qua e là che spezza la monotonia della trama.
Il cast è stato creato prendendo ciò che di meglio offriva nel 2002 Hollywood per un film del genere: Jodie Foster, già vincitrice del premio Oscar per Il silenzio degli innocenti undici anni prima, una giovanissima Kristen Stewart (allora dodicenne), Jared Leto (visto nel già citato Fight Club, sempre di Fincher), Forest Whitaker e, in ruolo minore, Ian Buchanan, già in Twin Peaks nel ruolo di Dick Tremayne. Tutti fanno la loro parte per la riuscita della pellicola a partire dai ladri, i quali si completano nel lavoro sullo schermo con varie sfaccettature portate in scena, a Jodie Foster, madre divorziata che ha mantenuto un buon rapporto col marito data anche la presenza di Kristen Stewart, la figlia in comune.
Nonostante le scene girate in digitale (una sorta di banco di prova per i futuri registi, come è ormai considerato oggi Panic Room su questo aspetto), il senso di claustrofobia non diminuisce, anzi forse aumenta perché, prima o poi, si torna nella panic room. La sala, grande circa tre metri per tre, se da un lato dà sicurezza, dall’altro toglie spazio vitale, specialmente alla ragazzina che ha bisogno di cure.
Tutto di pregevole fattura, e se volete potete vederlo anche voi con calma su Netflix.