Secret Window è un film a cui è mancata una risposta di pubblico adeguata, sia nel 2004 quando è uscito sia successivamente, nel corso degli anni.
di Paolo Merenda
Forse il motivo per cui Secret Window non è diventato un fenomeno di nicchia per i cinefili è il fatto che il racconto da cui parte la storia, Finestra segreta, giardino segreto di Stephen King (contenuto nella godibilissima raccolta Quattro dopo mezzanotte risalente al 1990) è di gran lunga superiore al pur ottimo lavoro del regista David Koepp.
Eppure i nomi perché diventasse tra i lavori più importanti per il suo protagonista, Johnny Depp, c’erano tutti: innanzitutto il regista, Koepp, che come sceneggiatore ha firmato un successo dietro l’altro (Jurassic Park, Carlito’s Way, Mission: Impossible, Panic Room, Angeli e Demoni e Inferno, giusto per fare qualche nome, anche se potrei continuare). E il cast? Con Depp, John Turturro (non ci provo nemmeno a citare la mole di registi con cui ha lavorato, ma nomino solo Barton Fink, che a noi di TheRoom piace molto), Maria Bello e Timothy Hutton, che nel 1981 si è laureato come vincitore più giovane del premio Oscar al miglior attore non protagonista, record che resiste da allora.
Per gli amanti di Stephen King, il gioco è cogliere le sottili differenze tra libro e film, mentre si segue con piacere una pellicola il cui tema principale si rivela essere un disturbo mentale, quello dissociativo della personalità. Lo spettatore viene immerso in una vicenda triste: il romanziere Morton Rainey, dopo il divorzio dalla moglie Amy, è alle prese con il blocco dello scrittore, e vive in una casa sul lago lontano da tutti.
Proprio lì lo raggiunge John Shooter, un uomo che nel tempo libero scrive brevi storie, e che lo accusa di plagio, forse l’accusa peggiore che possa essere mossa in quest’ambito dell’arte. In una spirale di minacce e violenza, l’ex moglie inizia a preoccuparsi per l’uomo, che sente sempre più isolato e tormentato. Nonostante si sia rifatta una vita con un nuovo amore, Ted, entra anche lei nel circolo innescato da John Shooter per arrivare a un finale pieno di sorprese.
Il mio consiglio è sia vedere il film che leggere il racconto, magari acquistando Quattro dopo mezzanotte, dato che la lettura non ha mai ucciso nessuno, a differenza di John Shooter. Non voglio fare troppi spoiler, ma il consiglio è frutto di un finale molto diverso tra i due lavori. Una delle più sottili e deliziose differenze è la scelta “Shooter”, che nella storia di Stephen King viene dal nome del paese di provenienza di Ted, e sullo schermo è la traslitterazione di Shoot Her (riferito alla ex moglie Amy), ovvero il desiderio segreto di un Morton Rainey ormai instabile.
Ma, in entrambi i casi, lascia un senso di angoscia e dubbi su cosa accadrà degni di Stephen King. E di David Koepp, regista e sceneggiatore altrettanto talentuoso.
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