Ryan Murphy fa un’operazione finora inedita su ampia scala nello showbiz: fa sì che l’identità di un attore o un’attrice corrisponda a quello del personaggio interpretato.

Una volta, navigando in Internet, sono capitata su un articolo, non ricordo di quale sito o testata, che parlava degli attori omosessuali che interpretano personaggi etero. Nell’articolo venivano citati due artisti che mi piacciono molto: Neil Patrick Harris – che ha reso sì Barney Stinson il tombeur des femmes che sarebbe stato comunque, ma ha anche portato in scena numerosi inside joke sulla propria omosessualità in How I Met YourMother – e Sarah Paulson, attrice feticcio proprio di Ryan Murphy che in realtà interpreta di solito personaggi lesbici o quanto meno più spesso di personaggi etero.

Scusate, devo fare una piccola digressione. Vi ho già parlato su queste pagine di Disclosure, il documentario Netflix prodotto da Laverne Cox. In Disclosure viene spiegato come sia fondamentale oggi che attori transgender interpretino personaggi transgender, perché questo permette a bambini, adolescenti e adulti transgender di identificarsi con essi. Ho pensato ok, mi sembra giusto. E poi ho visto, tra le testimonianze sullo schermo, quella di Chaz Bono, attore che ha preso parte ad American Horror Story: Cult di Murphy, del quale non sapevo che alla nascita gli fosse stato assegnato il genere femminile. Per cui mi sono fermata a pensare.

Oh, non è una regola (e Chaz Bono col suo personaggio in Ahs lo dimostra). Però molto spesso, quasi sempre, nelle serie dirette da Ryan Murphy, l’identità di un attore corrisponde all’identità del suo personaggio. Non è una questione di identità di genere, e infatti per il momento non ricordo attori transgender nelle serie di Murphy (ma se mi sbaglio correggetemi). Però noto comunque una buona volontà nell’attribuire personaggi con un orientamento sessuale ad attori che hanno quel determinato orientamento sessuale. Esattamente come Murphy attribuisce l’etnia di un personaggio a un attore che ha quella medesima etnia.

Per capire meglio forse dovremmo fare un passo indietro, molto indietro, cioè ai Minstrel Show. Sapete cosa sono? Erano spettacoli in cui attori caucasici si dipingevano la faccia di nero e portavano in scena stereotipi sugli afroamericani. Una cosa del genere l’abbiamo fatta per decenni, negli Stati Uniti, in Italia, in Francia e dove volete voi anche con gli omosessuali. Naturalmente in quel caso non c’era bisogno di dipingersi la faccia di nero, ma bastava che un uomo si comportasse in maniera effeminata, per così dire. Faccio un esempio storico eclatante: Giò Stajano compare in una scena de La dolce vita, dopo di che Federico Fellini la sostituì con un attore che le somigliava. Stajano non aveva iniziato la sua transizione, ma Fellini per il suo film voleva un omosessuale sopra le righe, effeminato à la Il vizietto (che però non era stato ancora girato ma ci siamo capiti). Stajano fu licenziato: era davvero troppo “normale” (lo metto tra virgolette perché questo è il termine usato solitamente dagli omofobi), troppo comune.

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Oggi un Minstrel Show sarebbe inaccettabile. Giustamente. E perché non dovrebbe esserlo un film o una serie in cui gli omosessuali uomini fossero solo ed esclusivamente degli “effeminati” (posto che tra l’altro esistono moltissimi etero con una spiccata componente femminile, qualunque cosa significhi)? Ryan Murphy allora fa così, fa coincidere identità e attorialità: Sarah Paulson, che nella vita è dichiaratamente lesbica, è lesbica sullo schermo, così come Clea DuVall nella seconda stagione di Ahs (e poi anche in The Handmaid’s Tale, che non è di Murphy ma è forse la migliore serie in circolazione), mentre Denis O’Hare è un crossdresser in American Horror Story: Hotel, oppure Jim Parsons è un agente omosessuale (realmente esistito) in Hollywood e così via. È particolarmente interessante l’uso che Ryan Murphy fa di Darren Criss, che ha origini filippine, al quale Murphy assegna personaggi dalle origini filippine. Non so voi, ma io trovo tutto questo particolarmente significativo.

Si arriva a The Boys in the Band prodotto da Murphy, che è il remake di Festa per il compleanno del caro amico Harold che proprio quest’anno compie il suo 50esimo genetliaco. Nel remake tutti i protagonisti sono interpretati da attori apertamente omosessuali. Perché è giusto così. Ognuno di noi non sceglie di essere quello che è. E come non dovremmo accettare mai più una blackface, è importante che i personaggi omosessuali siano interpretati da omosessuali, anche se l’omosessualità non è certo un tratto visibile di ciò che siamo.

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